Shakyamuni
Shākyamuni è considerato il fondatore storico del Buddismo: è universalmente conosciuto anche come l’Illuminato o Gautama Budda. Il testo più antico sulla sua vita è il Buddhacarita ( Le gesta del Buddha ) del poeta Asvaghosa. È difficile stabilire il periodo esatto in cui visse Shākyamuni (lett. sanscr. Saggio degli Shakya), ma i ricercatori moderni datano la sua vita intorno al 560-480 a.c. o al 460-380 a. C.
Siddartha – questo era il suo nome iniziale – nacque in India dal re Shuddhodana e dalla regina Māyā, governanti della tribù degli Shakya nel Giardino di Lumbini.Sebbene il regno fosse piuttosto piccolo, Siddharta – che secondo il desiderio del padre avrebbe dovuto ereditare il regno degli Shakya – crebbe nel lusso e fu educato sia alle arti civili sia a quelle marziali.
Malgrado l’agiatezza divenne presto consapevole dei problemi che causavano sofferenze agli esseri umani e in lui crebbe sempre più il desiderio di abbandonare il palazzo per trovare risposte a quelle sofferenze. Il padre, intuendo la tendenza del figlio, cercò di trattenerlo e, secondo alcuni racconti, decise di farlo sposare con Yashodara, da cui nacque Rāhula. Malgrado il matrimonio, Siddharta non abbandonò il desiderio di lasciare il palazzo.
La tradizione racconta dei “quattro incontri” che furono l’origine della decisione di Shākyamuni di dedicarsi alla vita religiosa: uscendo un giorno dalla porta orientale del palazzo incontrò un uomo anziano; in un’altra occasione, uscendo dalla porta meridionale, si imbatté in un malato; un’altra volta ancora, uscendo dalla porta occidentale, vide un cadavere. Infine un giorno uscendo dal lato nord incontrò un asceta che aveva abbracciato la vita religiosa. Questo ultimo incontro lo colpì tanto profondamente che decise di rinunciare alla vita principesca per diventare un saggio e poter così rispondere alle domande sulle sofferenze innate alla vita umana, nascita, invecchiamento, malattia e morte.
Sull’abbandono del palazzo da parte di Siddharta, le scritture riportano varie leggende. Ma la più accreditata narra che una notte egli lasciò Kapilavastu accompagnato dal domestico Chandaka, si tagliò i capelli, si liberò dei gioielli e degli ornamenti regali e rimandò a casa il servitore con un messaggio per la famiglia; non sarebbe tornato in città finché non avesse realizzato l’obiettivo per cui aveva abbracciato la vita religiosa: l’ottenimento dell’illuminazione.
La vita di Shakyamuni nei testi antichi
Il testo più antico sulla sua vita è il Buddhacarita ( Le gesta del Buddha, Adelphi, Milano, 1979) del poeta Asvaghosa ma è difficile collocare storicamente Asvagosa per una quasi totale mancanza di storiografia indiana: si ipotizza che sia vissuto in un arco di tempo compreso tra il 50 a. C. e il 100 d. C. Brahmano dell’India nord orientale, diventò buddista solo in età matura. Il testo inizia con la nascita di Shākyamuni, prosegue con l’insorgere della sua insofferenza per i piaceri del palazzo, con la sua ascesi e l’illuminazione.
Altro testo antico sono i Jātaka , o La Ghirlanda della nascite, le vite anteriori del Budda (da jāti, vite anteriori): una raccolta di 547 storie delle vite anteriori del Budda storico compilate dallo scrittore e poeta Aryasura. I Jātaka non hanno alcun legame cronologico gli uni con gli altri.Il Budda compare talora come personaggio principale, ma spesso come figura secondaria rispetto alla vicenda, o persino come semplice testimone. Dopo una introduzione, in cui si specifica l’occasione in cui il Budda narrò la storia, inizia il jātaka vero e proprio, per concludersi con la delucidazione di chi siano i personaggi nascosti dietro le varie figure letterarie (oltre al Budda compaiono anche altri discepoli e persone (Āryaśūra, La ghirlanda delle nascite: le vite anteriori del Buddha a cura di R. Gnoli, Rizzoli, Milano 1991).
La vita di Shakyamuni nelle opere successive
Sulla figura di Shākyamuni uomo e Illuminato, oltre a Buddhacarita ( Le gesta del Buddha) e a La Ghirlanda della nascite, le vite anteriori del Budda, sono apparse numerose interpretazioni provenienti sia dalle scuole buddiste nate dopo la sua morte sia da libri redatti in tempi più moderni. Tra questi: Il silenzio del Buddha di Ramon Panikkar, (Oscar Mondadori); La vita di Siddharta il Buddha, di Thich Nath Hanh (Ubaldini); La vita e l’opera di Shākyamuni Buddha di Ananda Coomaraswamy, (ed. Il Cerchio); Il pensiero del Buddha di R. Gombrich (Adelphi, 2012);, Il Buddha storico, di Schumann (Ed. Salerno); Il Buddhismo, scuole dottrina e storia, di Giuseppe Tucci (ed. Ghibli), Il Buddha di G. Sono Fazion, (Cittadella), L’insegnamento del Buddha, di W. Rahula,(Paramita), Il Buddhismo, di M. Zago,(Rizzoli), La filosofia indiana di Sarvepalli Radhakrishnan (Āsram Vidỹa, Roma, vol I, 1993).
Per questo motivo può essere difficile ricostruire un ritratto veritiero, completo e verosimile del fondatore della tradizione buddista. Ma esistono comunque molti aspetti che accomunano le ricerche moderne e gli antichi insegnamenti.
In queste pagine si fa riferimento soprattutto al testo La vita del Budda di Daisaku Ikeda (Prima edizione: Bompiani, Sonzogno, Milano, 1986, ma in seguito – e qui usato – La vita del Budda, Esperia, Milano, 2012).
Nella prefazione l’autore dichiara il suo punto di vista: «Questa è la mia visione personale di Shākyamuni. È questo l’uomo, uno fra i molti che hanno cercato la Via, che da lungo tempo ammiro e dal quale mi sono sentito attratto. Ed è questo l’uomo che desidero descrivere, più che il fondatore divinizzato e venerato di una religione» (Op. cit., pag. 2).
Per aiutare a comprendere questo aspetto della vita di Shākyamuni, abbiamo scelto di seguire il cammino tracciato da Daisaku Ikeda, riportando – anche con l’aiuto di link – diverse storie, aneddoti, parabole e interpretazioni che meglio aiutano a delineare un ritratto del Budda storico.
Percorso verso l'illuminazione e il suo raggiungimento
Shākyamuni seguì per anni l’ascetismo, poi si rese conto che questa forma di negazione di sé e di mortificazione non avrebbe potuto portare alla soluzione del quesito e le rifiutò. I suoi discepoli rimasero delusi e scandalizzati e lo abbandonarono.
Shākyamuni, che all’epoca aveva trenta o trentacinque anni, dopo aver abbandonato tali pratiche, sedette in meditazione sotto un albero di pipal (fico selvatico), pratica che era consuetudine per gli asceti indiani dell’epoca. Qui iniziò la sua lotta contro il “demone Mara”. Questa lotta interiore viene descritta dalle scritture con resoconti dettagliati: Mara o re demone (colui che uccide o rapinatore di vita) va considerato non come un essere sovrannaturale e misterioso, ma una metafora delle funzioni negative presenti nell’universo e nella vita umana, funzioni che privano le persone della loro energia vitale e ne impediscono l’ottenimento dell’illuminazione.
Shākyamuni affrontò tutto con coraggio e fierezza e si illuminò alla vera natura di tutti i fenomeni dell’esistenza.
Le scritture fanno riferimento alla sua illuminazione con il termine sanscrito annuttara-samyak-sambodhi che significa “suprema e perfetta illuminazione”.
Shākyamuni, dopo aver afferrato la verità meravigliosa dell’esistenza fu tormentato ancora dal demone Mara che insinuò in lui il dubbio se rivelare questa Legge ai suoi simili o rimanere in silenzio.Dovette così lottare contro l’egoismo radicato nella natura umana e alla fine vinse manifestando la grande compassione e pronunciando il voto del Budda: «Questo è il mio pensiero costante: come posso far sì che gli esseri viventi accedano alla via suprema e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda» (Il Sutra del Loto, capitolo Durata della Vita, Esperia, pag. 305).
Diffusione e condivisione della sua illuminazione
Sembra che trascorse un mese dal momento in cui Shākyamuni ottenne l’illuminazione e il suo primo sermone a Sarnath nei pressi di Varanasi a duecento chilometri dal luogo dell’illuminazione. Scelse quel luogo perché voleva per prima cosa predicare ai cinque asceti con i quali aveva condiviso le austerità.I cinque eremiti compresero il profondo insegnamento di Shākyamuni e diventarono monaci, dando vita così al primo sangha o Ordine buddista.
Shākyamuni formulò il suo insegnamento in modo da rendere il messaggio accessibile agli ascoltatori e lo predicò alle persone di ogni stato sociale, genere o provenienza senza distinzioni. Dedicò il resto della sua vita alla propagazione, coerente con la sua convinzione nel potenziale intrinseco all’essere umano. Fin dall’inizio, il Buddismo fu un insegnamento universale, che accoglieva tutti allo stesso modo.
Le circostanze della morte di Shākyamuni sono raccontate nel Sutra del Mahaparinirvana (si riferisce a varie traduzioni in cinese di testi differenti, sia Mahayana sia Theravada; letteralmente “Sutra del Nirvana completo”).
Secondo questa versione Shākyamuni, che a quel tempo aveva ottant’anni, accompagnato da Ananda e da altri cinquecento discepoli lasciò il Picco dell’ Aquila , dove lui andava spesso durante la stagione secca, e dove aveva predicato il Sutra del Loto, ritenuto da molte scuole buddiste una delle scritture più importanti e autorevoli – se non l’insegnamento definitivo – fra i testi sacri.
Spostandosi verso nord e giunto a Pava (attuale Padrauna), soggiornò nel boschetto di mango di cui era proprietario un fabbro di nome Chunda. Questi invitò il Budda nella sua casa e fece preparare un pasto speciale il cui ingrediente principale sembra fosse un certo tipo di fungo. Dopo aver mangiato, Shākyamuni fu colto da violentissimi dolori e si ammalò gravemente.
L’affezione lo rese debole, insistette per proseguire il cammino ma non riuscendo a camminare a lungo si fermò in un boschetto di alberi di sal, vicino alla città di Kushinagara nella terra dei Malla, si sdraiò sul giaciglio preparatogli dal suo discepolo Ananda e secondo alcuni fonti le sue ultime parole prima di morire furono «la decomposizione è inerente a tutte le cose composite. Lavorate diligentemente per assicurarvi la salvezza».
Verso la mezzanotte dello stesso giorno ebbe luogo l’evento noto nella terminologia buddista come parinirvana o “nirvana finale”.
Dopo la sua morte i discepoli propagarono il suo insegnamento nella forma di sutra e lo diffusero attraverso tutta l’Asia dando origine a numerose scuole generalmente caratterizzate dall’enfasi sulla pace e compassione.
L'India all'epoca di Shakyamuni
Secondo le scritture buddiste e altri testi, all’epoca di Shākyamuni l’India era formata da sedici grandi regni: tra i più conosciuti il Magadha, il Kosala, il Vriji, il Vatsa e l’Avanti.
Tra i più importanti e potenti troviamo il Kosala, governato dal re Prasenajit che controllava gran parte della zona orientale (oggi lo stato dell’Uttar Pradesh), e quello del Magadha governato da Bimbisara, re di grande saggezza politica che col tempo assorbì i regni del Kosala e del Vriji fondando una dinastia imperiale nota come Maurya.
Ad essa appartiene il famoso imperatore Ashoka, il terzo sovrano della dinastia che nel III secolo a.C. riuscì a unificare tutti i territori dell’India, esclusa la punta meridionale.
Durante il periodo dei “sedici grandi regni”, la tribù degli Shakya non appariva degna di particolare rilievo. La sua capitale, Kapilavastu, non era un centro di grande importanza o potere e gli Shakya probabilmente erano politicamente dipendenti dal Kosala. Un altro elemento che aiuta a comprendere la posizione di questa tribù è sottolineato dal prof. Hajime Nakamura, il quale scrive come il padre di Shākyamuni fosse denominato col semplice titolo di “re” e non “grande re” come era costume per i regnanti degli stati più potenti.
Gli studiosi presentano opinioni diverse sulla struttura politica di questi piccoli stati. Alcuni li considerano repubbliche aristocratiche governate da un consiglio tribale di anziani che deliberava sulle politiche dello stato. A sostegno di questa ipotesi viene sottolineato che probabilmente il re degli Shakya veniva eletto da dieci capi e scelto all’interno di quello stesso gruppo. Altri studiosi invece ritengono che in quel periodo tali stati si stessero organizzando in un solo stato potente e altamente centralizzato e che, se non erano vere e proprie aristocrazie, erano quanto meno oligarchie guidate da un’élite.
Qualunque possa esser stata la struttura politica dello stato degli Shakya, è certo che il paese era piccolo e debole e quasi inevitabilmente destinato a essere annesso a uno o l’altro dei grandi regni confinanti.
Uno sguardo all'interno della società indiana
La società indiana a quel tempo stava attraversando un processo di radicale mutamento. Da una parte i membri della classe brahmanica – considerati fino a quel momento quasi come esseri divini – iniziavano a perdere autorevolezza a causa della corruzione e degenerazione all’interno della loro stessa comunità. Dall’altra cambiavano anche le tradizionali strutture della società grazie allo sviluppo del commercio e degli scambi che creò una classe di ricchi mercanti, i quali forti del potere garantito dalle loro ricchezze sfidarono l’autorità dei brahmani.
Parallelamente, acquistavano potere anche i membri della classe degli kshatriya, guerrieri che gestivano la politica degli stati, il potere dei quali divenne maggiore di quello dei loro presunti superiori, i sacerdoti. Alcuni membri della classe degli kshatriya, sia prima sia durante il periodo di Shākyamuni, erano pronti a sfidare i sacerdoti non solo su questioni di potere e priorità sociale, ma anche su temi religiosi e filosofici.
I leader della classe degli kshatriya, insieme alla nuova classe di ricchi mercanti nota come shreshthin, presero le distanze dai modelli della vecchia società tribale dei brahmani e si adoperarono per costruire un nuovo tipo di struttura sociale sotto la guida di un monarca. All’epoca di Shākyamuni questi cambiamenti sociali stavano prendendo piede cone grande rapidità, e al centro della nuova società e della cultura che stava iniziando a emergere c’era lo stato di Magadha.
Uno degli aspetti più importanti di questa nuova cultura fu la comparsa di pensatori che rifiutavano apertamente l’autorità del vecchio ordine sociale brahmanico e la loro presenza indica quanto furono radicali i cambiamenti che presero piede nella società sotto la guida di uomini che osarono liberarsi completamente dalle dottrine del brahmanesimo. Questi uomini venivano definiti shramana “colui che predica l’austerità religiosa”. In origine questo termine era usato per tutti gli asceti in generale e all’epoca di Shākyamuni era stato esteso a tutti gli asceti che rigettavano il Brahmanesimo e l’ordine sociale che rappresentava. Pare che il Magadha sia stato un luogo di ritrovo per questi shramana.
Successivamente Shākyamuni fu chiamato Gautama Shramana, perché era considerato appartenente a questo gruppo di pensatori riformisti.
È nel Magadha che Shākyamuni si dedicò alle severe austerità religiose, ottenne l’illuminazione e iniziò a predicare la religione buddista; tra i primi convertiti ci furono il re Bimbisara del Magadha e molti shreshtshin, o mercanti facoltosi di quello stato. Anche il re Prasenajit del Kosala dimostrò grande rispetto per Shākyamuni e sostenne le sue attività religiose.
Il sostegno offerto dai ricchi mercanti all’ordine buddista è spesso citato nelle scritture, uno donò il Monastero del Boschetto di Bambù a Rajagriha e un altro un monastero nella città di Shravasti, nel Kosala. Il più conosciuto di questi mecenati fu Sudatta, che si dice fosse l’uomo più ricco del Kosala e che divenne noto per la generosità con cui divise la propria ricchezza con i poveri.