VERSO UN futuro comune: costruire un’epoca di solidarietà umana
di Daisaku Ikeda
Presidente della Soka Gakkai Internazionale – 26 gennaio 2020
Per celebrare il novantesimo anniversario della fondazione della Soka Gakkai e il quarantacinquesimo della nascita della Soka Gakkai Internazionale (Sgi) desidero presentare alcune proposte per la costruzione di una società globale sostenibile nella quale tutte le persone possano vivere con dignità e sentirsi sicure.
Innanzitutto desidero affrontare la questione delle tensioni fra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell’Iran, che sono cresciute dall’inizio dell’anno. Invito caldamente entrambe le parti a mantenere l’attuale posizione moderata per far sì che, aderendo alla legislazione internazionale e incrementando le iniziative diplomatiche, la situazione non peggiori. Spero che con la mediazione delle Nazioni Unite e di altri paesi si individui un percorso che consenta di ridurre le tensioni.
Il nostro mondo ha subìto una serie di eventi climatici estremi di portata catastrofica. Lo scorso anno in Europa, in India e in altri paesi si sono avute ondate di caldo record, e in varie zone del mondo si sono verificate alluvioni in seguito a super tifoni e piogge torrenziali. Inoltre l’Australia continua a essere devastata da smisurati incendi boschivi.
Nel settembre dello scorso anno presso le Nazioni Unite si è tenuto il Summit di azione sul clima, in un contesto di crescente preoccupazione per l’impatto sempre maggiore del riscaldamento globale. In tale occasione un terzo degli Stati membri dell’Onu – circa sessantacinque paesi – ha annunciato politiche mirate a ridurre a zero l’emissione dei gas serra entro il 2050.1 È fondamentale che questa iniziativa assuma portata globale. Il cambiamento climatico non è solo un problema ambientale, nel senso comune del termine, ma rappresenta una minaccia per tutte le persone che vivono attualmente sulla Terra e per le generazioni future. Come nel caso delle armi nucleari, si tratta di una sfida cruciale dalla quale dipende il futuro dell’umanità.
Secondo quanto affermato dal segretario generale dell’Onu António Guterres, il cambiamento climatico è «la questione determinante del nostro tempo»,2 il cui impatto rischia di rendere prive di senso le iniziative a livello globale per eliminare la povertà e la fame previste dagli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sdg).
Ma non dovremmo concentrarci unicamente sull’arrestare questa spirale discendente, perché il cambiamento del clima è una questione che riguarda tutti e tutte, e dunque ha il potenziale di catalizzare una serie di azioni solidali a livello globale mai viste prima. Il successo o il fallimento nel mettere in atto tale potenziale è davvero la questione determinante del nostro tempo.
Il Summit di azione sul clima è stato caratterizzato dalla diffusa richiesta di un cambiamento concreto, avanzata principalmente dai giovani, e anche da iniziative immediate e coraggiose in risposta alla crisi climatica da parte di municipalità, istituzioni accademiche e settore privato.
In questo mese [gennaio 2020] è diventato pienamente operativo l’Accordo di Parigi, grazie al quale la comunità internazionale si impegna a contenere entro 1,5 gradi centigradi l’aumento delle temperature medie dai livelli preindustriali. Una missione cruciale per l’Onu, che celebra il suo settantacinquesimo anniversario, è stimolare la creazione di un circolo virtuoso nel quale le iniziative solidali per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico avanzino di pari passo con il raggiungimento di tutti gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile.
Desidero ora riflettere, da tre diverse angolazioni, sul nostro impegno per costruire questa rete solidale di azione globale.
Non lasciare indietro nessuno
Il nostro primo impegno deve consistere nel non lasciare indietro nessuna delle persone che stanno affrontando circostanze difficili.
Nel corso degli ultimi anni è aumentata la portata dei danni causati dai disastri naturali, in larga misura in conseguenza di eventi meteorologici estremi, interessando sia i paesi sviluppati sia quelli in via di sviluppo. L’anno scorso in Giappone, per esempio, i tifoni Faxai e Hagibis hanno colpito varie regioni con piogge e venti violentissimi, causando estese inondazioni che hanno lasciato senza energia elettrica e acqua ampie zone del paese, con conseguenze devastanti per la vita quotidiana.
La preoccupazione maggiore a livello globale, che l’Onu sottolinea da sempre, riguarda l’impatto di questi eventi, che viene avvertito soprattutto da persone già colpite dalla povertà e da coloro che appartengono ai settori più vulnerabili della società, come le donne, i bambini e gli anziani. Queste persone sono più esposte ai rischi, hanno maggiore difficoltà a ricostruire la loro vita dopo un disastro e necessitano di un sostegno appropriato e continuativo.
Un altro tragico effetto del cambiamento climatico è il crescente numero di persone costrette a lasciare la loro casa. Le popolazioni delle isole del Pacifico, ad esempio, stanno affrontando una crisi particolarmente grave, perché l’innalzamento dei livelli dell’oceano e le conseguenti inondazioni rendono molto probabile che il loro sfollamento sia permanente e che non possano mai più fare ritorno a casa.
L’Istituto Toda per la pace, che fondai proprio per studiare questo tipo di problemi, ha avviato due anni fa un progetto di ricerca riguardante gli effetti del cambiamento climatico sulle comunità insulari del Pacifico. Uno degli aspetti che lo studio ha evidenziato è il significato speciale del legame che i membri di queste comunità avvertono con la loro terra. Perderla equivale a una perdita sostanziale di identità. Anche se queste persone, trasferendosi in un’altra isola, si sentirebbero più sicure da un punto di vista materiale, rimarrebbero prive di ciò che il rapporto chiama la “sicurezza ontologica” che percepivano vivendo sulla loro isola.3 Alla luce delle conclusioni della ricerca, è evidente che qualsiasi iniziativa per contrastare il cambiamento climatico deve assolutamente tener conto di questo genere di danni irreparabili.
La perdita del legame con la propria terra e il sentimento di lutto che la accompagna sono un aspetto ineluttabile di grandi disastri come i terremoti e gli tsunami. Questo dolore, unito alla perdita improvvisa di amici e familiari, può essere veramente insopportabile; rispondere a tale angoscia è un imperativo per la società nel suo complesso. Avevo già messo in luce questa situazione nella proposta che pubblicai l’anno successivo al terremoto e allo tsunami che colpirono il Giappone l’11 marzo 2011. L’insostituibilità del luogo in cui è impressa la storia della propria esistenza, di una casa permeata dal senso e dagli aromi della vita quotidiana, viene espressa magistralmente dalle parole di Antoine de Saint-Exupéry (1900-44): «È vano, dopo aver piantato una ghianda al mattino, sperare di sedere nel pomeriggio all’ombra della quercia».4
Quando si parla degli impatti del cambiamento climatico si ha la tendenza a concentrarsi sull’entità delle perdite economiche o su altri indicatori quantificabili, ma io ritengo sia importante considerare la sofferenza reale dei tanti individui che questi indici macroeconomici tendono a offuscare, ponendola al centro dei nostri sforzi per unirci nella ricerca di soluzioni.
C’è qui una somiglianza strutturale con gli attriti commerciali che si sono intensificati negli ultimi anni. L’espressione “beggar-thy-neighbor” [lett. “rovina il tuo vicino”, detta anche “politica del rubamazzo”, che produce benefici unicamente al paese che la adotta a danno degli altri, n.d.t.] designa le politiche che cercano di risanare la propria economia aumentando le tariffe o limitando le importazioni. Nel nostro mondo globalizzato e sempre più interdipendente, però, le ritorsioni economiche conducono spesso a risultati imprevisti descritti con l’espressione “beggar-thyself” (lett. “rovina te stesso”).
Gli attriti commerciali hanno un impatto negativo sulle prestazioni di molte piccole e medie imprese, inducendo ristrutturazioni e conseguenti perdite di posti di lavoro. Pur convenendo sull’importanza di migliorare indici economici come la bilancia commerciale, il perdurare di condizioni che peggiorano la vita di persone già di per sé vulnerabili, sia in patria sia all’estero, non può che far crescere l’instabilità sociale in tutto il mondo.
L’anno scorso il segretario generale Guterres ha descritto all’Assemblea generale dell’Onu le condizioni di alcune persone che aveva incontrato in luoghi colpiti da gravi minacce: famiglie del Pacifico meridionale la cui vita rischia di essere inghiottita dall’innalzamento dei mari, giovani rifugiati del Medio Oriente che sperano di tornare alle loro case e scuole, sopravvissuti al virus Ebola in Africa che lottano per rifarsi una vita. E ha sottolineato come «troppe persone temano di essere calpestate, distrutte e lasciate indietro»,5 una preoccupazione che condivido. Quando consideriamo le questioni globali, la nostra attenzione deve concentrarsi soprattutto sulle minacce che esse rappresentano per la vita, la sopravvivenza e la dignità dei singoli esseri umani.
Le questioni climatiche e quelle commerciali influenzano profondamente l’economia e la società. A questo proposito meritano attenzione le intuizioni del fondatore della Soka Gakkai Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944), esposte nella sua opera del 1903 Jinsei chirigaku (La geografia della vita umana). Makiguchi metteva in evidenza le differenze tra la natura dei conflitti militari, circoscritta nel tempo, e la natura costante e durevole della competizione economica. La prima, diceva, si manifesta all’improvviso e produce sofferenze orribili delle quali è impossibile non essere consapevoli, mentre l’altra si verifica gradualmente e in maniera meno drammatica, per cui tende a passare inosservata.
Poiché la crudeltà della guerra è così evidente – intendeva sottolineare Makiguchi – le persone ne sono nitidamente consapevoli e cercano di prevenirne i danni più gravi, per esempio attraverso negoziati o mediazioni. Lo stesso non può dirsi per la competizione economica, spesso condotta in modo continuativo e in gran parte inconscio, i cui effetti vengono considerati il risultato di una sorta di “selezione naturale”. Pertanto questo tipo di competizione si dissolve sullo sfondo della nostra vita sociale, rendendoci inclini a trascurare le condizioni inumane e la sofferenza che essa genera.
Ai tempi di Makiguchi il mondo era devastato dall’imperialismo e dal colonialismo, e le nazioni consideravano naturale ricercare la prosperità a spese di altri paesi. Ma questo punto di vista implica accettare che determinati settori o gruppi vengano inevitabilmente sacrificati e che le privazioni che subiscono non ci riguardino. Tale implicito consenso si accumula progressivamente nella profondità del tessuto sociale come uno strato di melma.
Così la competizione economica basata sulla “sopravvivenza del più adatto” cresce senza sosta, realizzando la previsione di Makiguchi secondo cui «in fin dei conti, la sofferenza che genera è assai più devastante [persino della guerra]».6 Nel mondo del XXI secolo, in cui la globalizzazione e l’integrazione economica sono molto più avanzate che ai tempi di Makiguchi, questo rischio è più forte che mai.
Makiguchi non negò mai il valore della competizione nelle dinamiche interne della società; era convinto che il gareggiare per l’eccellenza fosse una ricchezza, una fonte di energia e di creatività. Riteneva invece problematica la nostra tendenza a considerare il mondo unicamente come il luogo della competizione per la sopravvivenza, che si basa sul presupposto che la nostra vita sia indipendente dalle altre e nega gli effetti di un simile comportamento.
Alla base del suo pensiero c’è la coscienza che questo mondo è innanzitutto un luogo di “vita condivisa”.
Nell’introduzione a La geografia della vita umana Makiguchi spiega come ha sviluppato la consapevolezza su cui si fonda questa visione del mondo, raccontando che quando sua moglie non riusciva ad allattare il figlio appena nato, il dottore aveva prescritto il latte in polvere prodotto in Svizzera perché quello giapponese si era rivelato inadatto. Makiguchi esprime quindi la sua riconoscenza per il lavoro degli allevatori di mucche nei pascoli del Massiccio del Giura. Inoltre, osservando il cotone del quale erano fatte le fasce che avvolgevano il figlioletto, immagina le persone che in India lavoravano sotto il sole cocente per coltivarlo.7 Così descrive come, sin dal momento della nascita, un essere umano è connesso al mondo intero. La gratitudine per queste persone che non aveva mai incontrato è riassunta nella sua espressione “vita condivisa”, che non descrive solo il mondo come dovrebbe essere idealmente, ma come in realtà già è, anche se tendiamo a non rendercene conto.
Il mondo è costituito dalle attività sovrapposte e intrecciate di innumerevoli persone e dalla loro influenza reciproca. Quando la competizione non considera questa realtà, perdiamo di vista l’esistenza di coloro che soffrono a causa di gravi minacce o di contraddizioni sociali. Perciò è essenziale impegnarci consapevolmente in una “vita condivisa” e lavorare per una società basata sull’«impegno di proteggere e migliorare non solo la propria vita ma anche quella degli altri».8
Tornando al presente, non è vero che la crescita economica e le iniziative per prevenire il riscaldamento globale siano intrinsecamente incompatibili. Per esempio nel triennio successivo al 2014 l’economia globale è cresciuta a un tasso annuale superiore al tre per cento9 mentre le emissioni del principale gas serra, l’anidride carbonica (CO2), sono rimaste stabili.10 Da allora le emissioni hanno ripreso a crescere, però sono convinto che con la scelta coraggiosa di «proteggere e migliorare non solo la propria vita ma anche quella degli altri» – attraverso misure come l’introduzione di fonti di energia rinnovabili e miglioramenti nell’efficienza energetica – riusciremo a sviluppare nuove modalità di vita economica e sociale.
La base per perseguire consapevolmente una “vita condivisa” è comprendere che chi vive sotto la nube oscura di gravi minacce non è diverso da noi. Lo hanno sottolineato Abhijit Vinayak Banerjee e Esther Duflo, dell’Istituto di tecnologia del Massachusetts (Mit), nella loro indagine sulla povertà e le sue profonde relazioni con la competizione economica. I due ricercatori non hanno considerato le cose solo da una prospettiva macroeconomica, ma hanno svolto una ricerca empirica sulle condizioni reali in cui vivono le persone. Per questo lavoro hanno ricevuto nel 2019 il premio Nobel per l’economia, che hanno condiviso con il professor Michael Kremer dell’Università di Harvard. Nel loro libro L’economia dei poveri. Capire la vera natura della povertà per combatterla affermano che le persone poverissime non sono essenzialmente diverse dalle altre, per esempio non sono meno intelligenti.11 Chi vive nei paesi ricchi beneficia di accesso all’acqua potabile, alle cure mediche e ad altre forme invisibili di supporto «così profondamente radicate nel sistema che a malapena ci facciamo caso».12 Fanno notare che «non solo i poveri conducono vite più rischiose dei meno poveri, ma che eventi sfortunati della stessa entità probabilmente li danneggerebbero di più».13 Banerjee e Duflo ci invitano a non esprimere giudizi stereotipati, sottolineando la necessità di valutare le condizioni reali in cui le persone vivono.
Sforzarsi di capire le circostanze in cui si trovano le persone, anziché considerarle attraverso il filtro della posizione o della classe sociale, è un insegnamento centrale anche nel Buddismo che praticano i membri della Sgi. Si dice che Shakyamuni avesse affermato: «Mentre tra gli esseri viventi esistono distinzioni relativamente alla forma fisica, tra gli esseri umani non esistono tali distinzioni. Le distinzioni tra gli esseri umani vengono indicate solo dalla denominazione».14
Secondo questo passo, sebbene all’interno della società si siano generate categorie tra le persone alle quali è stato dato un nome, per quanto riguarda la loro umanità non vi è alcuna distinzione.
Shakyamuni non attribuiva alcuna importanza alla posizione sociale, prestava cure mediche e offriva parole di incoraggiamento in egual misura a un monaco gravemente malato incontrato casualmente e al re Ajatashatru che in precedenza aveva cercato di ucciderlo.
Entrambe queste persone avevano qualcosa in comune, però. Il monaco era stato abbandonato dai suoi compagni e lasciato solo a soffrire, e la grave malattia del re Ajatashatru aveva fatto sì che gli altri lo evitassero. Shakyamuni lavò il monaco malato e gli mise vestiti puliti; e pur avvertendo prossima la sua stessa morte trovò il tempo di incontrare il re Ajatashatru, di condividere con lui gli insegnamenti del Dharma e incoraggiarlo a guarire dalla sua malattia. Nel comportamento di Shakyamuni, nel suo rifiuto di lasciare solo chiunque stesse soffrendo o affrontando una grave difficoltà, possiamo ravvisare l’origine della compassione buddista.
Secondo il Buddismo le capacità delle persone non sono predeterminate, eppure nella società si tende spesso a darne una valutazione rigida e a etichettarle di conseguenza. Una persona in condizione di vulnerabilità, se è circondata da altre pronte a condividere la sua lotta, trova il modo di andare avanti. Persino la maniera in cui si vive la povertà o la malattia può trasformarsi profondamente sapendo di avere il sostegno di altre persone. Questo è un punto essenziale nella filosofia buddista. Alla base dell’approccio alla vita al quale ci invita Makiguchi – un impegno cosciente per una vita condivisa – c’è la decisione di non lasciare mai indietro coloro che stanno lottando in mezzo alle difficoltà.
Nel 2008, quando la crisi finanziaria stava scuotendo il mondo dalle fondamenta, ebbi l’occasione di dialogare con l’ex segretario generale dell’Onu Anwarul K. Chowdhury. Uno dei punti che mettemmo in evidenza fu la necessità di dare la massima priorità al sostegno dei paesi che versavano in gravi condizioni economiche e alle persone socialmente più vulnerabili. L’ambasciatore Chowdhury sottolineò la necessità di costruire una rete di sicurezza globale per attutire shock esterni come l’impatto del cambiamento climatico, le forti fluttuazioni dei prezzi e i drastici tagli alla spesa.15 Condivido pienamente questa visione. Concordammo inoltre che mettersi dalla parte dei settori più vulnerabili della società debba costituire il ruolo chiave delle Nazioni Unite nel XXI secolo.
Quando nel 2001 fu istituito l’Ufficio Onu dell’Alto rappresentante per i paesi meno sviluppati, i paesi senza sbocco sul mare e i piccoli Stati insulari in via di sviluppo, il primo incarico fu affidato a Chowdhury, che ebbe così l’occasione di lavorare direttamente con nazioni e popoli spesso trascurati dalla società internazionale. Fui profondamente commosso quando dichiarò che niente lo rendeva più felice di constatare miglioramenti significativi nelle condizioni dei paesi più vulnerabili.16
È un sentimento che riconosco. La Soka Gakkai, ai suoi primordi, era definita con disprezzo un’accozzaglia di poveri e malati; ma quelle persone comuni, spesso emarginate dalla società, incoraggiandosi a vicenda riuscirono a risalire dall’abisso della disperazione. È una storia di cui andiamo molto fieri.
Josei Toda (1900-58), insieme al primo presidente Makiguchi, fondò la Soka Gakkai come movimento popolare e ne divenne il secondo presidente. Espresse così la convinzione che lo spingeva a perseverare di fronte alle reazioni dei cinici: «Io farò quello che devo fare, cioè salvare i poveri e i malati, i travagliati e i sofferenti. Per questo levo la mia voce».17
Il suo più ardente desiderio era eliminare l’infelicità dalla faccia della Terra. Era deciso a impedire che si ripetessero le atroci sofferenze vissute dai popoli di tante nazioni durante la seconda guerra mondiale. Per questo nutriva grandi aspettative nei confronti dell’Onu, fondata in risposta ai due conflitti mondiali del XX secolo, e ci chiese di proteggere tale istituzione e aiutarla a diventare un baluardo di speranza per il mondo.
Quando diventai terzo presidente della Soka Gakkai, sessant’anni fa, la mia prima azione concreta per la pace mondiale fu recarmi negli Stati Uniti dove, come erede degli ideali del mio maestro, visitai la sede delle Nazioni Unite a New York. Da allora il sostegno all’Onu è diventato un pilastro del nostro impegno sociale, che ci ha spinti a rafforzare i rapporti di collaborazione con individui e organizzazioni della società civile che condividono i nostri stessi intenti, per continuare a sviluppare iniziative mirate alla risoluzione dei problemi globali.
Poco dopo la mia visita, nel corso delle celebrazioni del Giorno delle Nazioni Unite (24 ottobre) venne eseguita integralmente la Nona sinfonia di Beethoven presso la sede centrale dell’Onu, per espressa volontà dell’allora segretario generale Dag Hammarskjöld (1905-1961). Fino ad allora ne veniva eseguito solo il quarto movimento, con il suo commovente Inno alla gioia. Ma per il quindicesimo anniversario della fondazione dell’Onu la sinfonia fu eseguita per intero e Hammarskjöld si rivolse al pubblico con queste parole: «Quando si apre la Nona sinfonia entriamo in un dramma pieno di aspri conflitti e oscure minacce. Poi il compositore ci guida, e all’inizio dell’ultimo movimento ascoltiamo nuovamente i vari temi ripetuti, ora come un ponte verso una sintesi finale».18
Paragonando lo sviluppo della Nona sinfonia alla storia umana, Hammarskjöld esprimeva la sua speranza di «non perdere mai la fede che un giorno ai primi movimenti seguirà il quarto».19
La convinzione di Hammarskjöld ricorda la progressione delle epoche storiche descritte nella Geografia della vita umana. All’inizio del XX secolo Makiguchi era molto preoccupato dalle modalità di competizione militare, politica ed economica mediante le quali persone e società intere ricercavano sicurezza e prosperità a spese degli altri. Purtroppo nel mondo odierno è ancora così.
Ma proprio come il coro del quarto movimento della Nona sinfonia si apre con le parole: «O Freunde, nicht diese Töne!» (Amici, non questi toni!), riusciremo sicuramente anche noi a trasformare le nostre modalità di competizione ormai così radicate. Secondo Makiguchi l’essenza di tale trasformazione deve consistere in quella che egli definisce modalità di competizione umanitaria o umana, in cui si reca beneficio a se stessi e al tempo stesso si agisce per il benessere degli altri.
Costruendo una solidarietà globale che si esprime in azioni concrete per contrastare la crisi climatica, possiamo e dobbiamo effettuare questo cambiamento di paradigma, aprendo nuovi orizzonti nella storia umana.
Sono convinto che il punto centrale di tale impresa sia l’intenzione di non abbandonare mai le persone che versano in circostanze difficili. Impegnandoci a tale scopo in ogni circostanza possiamo trasformare la crisi senza precedenti rappresentata dal cambiamento climatico in un’opportunità per imprimere una nuova direzione al corso della storia.
La sfida della costruzione
In secondo luogo ritengo necessario impegnarsi affinché si agisca congiuntamente in senso costruttivo invece di limitarsi a trasmettere una diffusa sensazione di crisi.
I primi moniti sul riscaldamento globale per cause antropiche furono pronunciati all’inizio degli anni ’80, e la Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico fu stabilita nel maggio 1992, poco prima della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (Summit della Terra) di Rio de Janeiro. Nel 1997 fu adottato il protocollo di Kyoto, con lo scopo di ridurre le emissioni di gas serra da parte delle economie sviluppate, e nel dicembre 2015 è stato adottato l’Accordo di Parigi che include per la prima volta anche le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo.
Dietro la scelta di adottare un accordo pienamente globale c’è stata la percezione dell’aggravamento della crisi, poiché una serie di studi scientifici del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change, Ipcc) ha generato una maggiore consapevolezza riguardo agli effetti del riscaldamento globale, ed eventi meteorologici estremi hanno reso palpabile quella minaccia per un gran numero di persone.
Sebbene da questo mese (gennaio 2020) l’Accordo di Parigi sia diventato operativo, nel suo futuro si profilano serie difficoltà. Secondo un rapporto speciale dell’Ipcc, se il riscaldamento continuerà al ritmo attuale c’è il pericolo che l’aumento delle temperature medie globali superi 1,5 gradi centigradi prima del 2030.20 Mantenere il riscaldamento globale entro questo limite è l’obiettivo stabilito dall’Accordo di Parigi, ed è essenziale che tutti i paesi inizino subito a incrementare gli sforzi per raggiungerlo. A tal fine occorre superare questa comune sensazione di crisi e proporre una visione chiara attorno alla quale unirsi in modo solidale, mobilitando l’impegno attivo delle persone di ogni paese.
Se ci concentriamo unicamente sulle minacce che abbiamo davanti, corriamo il rischio che chi non ne è direttamente toccato rimanga indifferente; e anche chi ne riconosce la gravità può essere sopraffatto da un senso di impotenza concludendo che non si può fare nulla per cambiare la situazione.
Ciò mi riporta alla mente una considerazione che formulò Elise Boulding (1920-2010), fondatrice degli Studi per la pace, in un nostro dialogo. Negli anni ’60 si trovò a partecipare a una conferenza sul disarmo e chiese agli esperti presenti come immaginassero concretamente un mondo in cui vigesse il disarmo totale. Con sua grande sorpresa le risposero che non ne avevano idea, perché il loro lavoro consisteva semplicemente nel descrivere come il disarmo fosse possibile.21
Questa esperienza le fece capire che senza una visione chiara e dettagliata di come potrebbe essere una società pacifica, sarebbe stato pressoché impossibile unire davvero le persone nel perseguimento della pace.
Credo che questa prospettiva sia molto importante. Dal canto suo la Sgi ha lavorato per incoraggiare vaste iniziative che permettano di immaginare una società pacifica, ad esempio attraverso la mostra Everything You Treasure – For a World Free From Nuclear Weapons (Tutto ciò che ami – Per un mondo libero da armi nucleari), sviluppata in collaborazione con la Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (Ican) e allestita in circa novanta città del mondo dal 2012.
In genere la questione delle armi nucleari viene associata a immagini di una tale distruzione da minacciare l’esistenza stessa della specie umana, e per questo motivo le persone tendono a distoglierne lo sguardo. Invece i primi pannelli di questa mostra invitano i visitatori a riflettere su ciò che è più importante per loro, incoraggiandoli a immaginare come costruire un mondo che tuteli non solo ciò che essi amano ma anche ciò che altri considerano insostituibile; in questo modo la mostra cerca di suscitare il desiderio comune di compiere azioni costruttive.
Per molti anni l’idea di un trattato che proibisse le armi nucleari era ritenuta impensabile. Ma con il crescere delle preoccupazioni per le catastrofiche conseguenze umanitarie di queste armi, le iniziative per la loro proibizione hanno messo maggiormente a fuoco l’immagine di un futuro migliore, e questo è stato l’elemento chiave che dato impulso alla costruzione di una solidarietà che ha portato all’adozione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw) nel 2017.
Il Trattato non si limita a evidenziare quale rischio le armi nucleari rappresentino per la sicurezza di tutta l’umanità ma, come indica il suo preambolo, alla base c’è l’idea che le azioni per promuovere il disarmo nucleare siano indissolubilmente legate a quelle per costruire un mondo che tuteli i diritti umani e la parità di genere, un mondo che protegga la salute della generazione attuale e di quelle future, un mondo che dia priorità all’integrità ecologica.
Allo stesso modo, riguardo alle iniziative per combattere il cambiamento climatico è essenziale non solo porsi l’obiettivo numerico di limitare l’aumento della temperatura media globale, ma anche sviluppare una visione comune del mondo che desideriamo realizzare attraverso la risoluzione di questa crisi, e poi adottare collettivamente misure concrete per la costruzione di tale realtà.
Impegnandoci nella sfida della costruzione troveremo una terza via, grazie alla quale potremo evitare di cadere preda sia di un egoismo indifferente ai problemi che non ci colpiscono direttamente sia di un pessimismo paralizzante davanti a questioni che sembrano troppo grandi per le nostre forze.
In concomitanza con il Summit della Terra del 1992 la Sgi fondò il Centro di ricerca ambientale per l’Amazzonia in Brasile, che da allora svolge attività per risanare la foresta pluviale e proteggere la sua unicità ecologica. E non è un caso che le nostre mostre realizzate inizialmente a sostegno del Decennio dell’educazione allo sviluppo sostenibile dell’Onu si intitolassero: Semi di cambiamento e Semi di speranza. Questi titoli racchiudono il messaggio che ognuno e ognuna di noi, a partire da dove si trova adesso, ha il potenziale di diventare artefice del cambiamento verso una società globale sostenibile, e che ogni azione che compie è un seme di cambiamento, un seme di speranza dal quale sbocceranno i fiori della dignità umana in tutto il mondo.
L’importanza di adottare un atteggiamento costruttivo di fronte alle avversità ha origine dalla filosofia buddista. Nel Sutra del Loto, che esprime l’essenza degli insegnamenti di Shakyamuni, troviamo il principio che «il mondo di saha è di per sé la Terra della Luce Eternamente Tranquilla». Saha è una parola sanscrita che significa “portare” o “sopportare”, e il termine “mondo di saha” esprime l’intuizione di Shakyamuni secondo cui il mondo in cui viviamo è pieno di angosce e sofferenze. Ma pur avendo questa visione del mondo, il Budda dichiarò: «All’età di ventinove anni partii alla ricerca del bene».22 Ciò dimostra come non fosse animato dal pessimismo, ma dal sincero anelito di scoprire come le persone potessero evitare di sprofondare nel dolore e invece vivere felici.
Il filosofo Karl Jaspers (1883-1969), che scrisse un’opera sulla vita e il pensiero di Shakyamuni, colse l’essenza del suo intento quando affermò: «Ciò che il Budda insegna non è un sistema di conoscenza, ma un cammino di salvezza».23
Se le persone vedono il mondo anzitutto come un luogo pieno di sofferenza, rischiano di interagire con esso in maniera errata, per esempio cercando di liberarsi dalla sofferenza solo a livello personale, sentendosi impotenti e rassegnate davanti alle dure realtà sociali o finendo per vivere in modo passivo, aspettando che siano altri a risolvere i loro problemi.
Il vero intento di Shakyamuni non era affermare che il mondo di saha è un luogo in cui dobbiamo sopportare il dolore, ma piuttosto chiarire che proprio quello è lo scenario in cui possiamo realizzare il mondo delle nostre speranze e dei nostri sogni (la Terra della Luce Eternamente Tranquilla). Questo principio viene esposto più precisamente nell’undicesimo capitolo del Sutra del Loto L’apparizione della Torre preziosa, nel quale una torre enorme che emana la luce della dignità emerge nel mondo di saha, nel luogo dove una moltitudine di persone si è radunata per ascoltare la predicazione del Budda. Così, davanti agli occhi di tutti, il mondo di saha si trasforma nella Terra della Luce Eternamente Tranquilla.
Nichiren (1222-82), maestro buddista del XIII secolo, spiegò così il principio secondo cui il mondo di saha è di per sé la Terra della Luce Eternamente Tranquilla: «Non è che si lasci il luogo in cui ci si trova per andare da qualche altra parte».24 In altre parole, questa terra ideale alla quale anelano le persone non esiste in qualche altro luogo al di fuori della loro portata. Lo spirito del Sutra del Loto sta nell’agire con ancora più forza per far sì che il posto in cui siamo adesso risplenda come la Terra della Luce Eternamente Tranquilla.
All’epoca di Nichiren il popolo giapponese stava subendo una serie di calamità che sembrava non aver mai fine. Oltre alle guerre imperversavano disastri naturali come terremoti e tifoni e si diffondevano epidemie. Nella società dominavano ideologie che invitavano alla fuga dalla realtà – portando le persone a rimanere egoisticamente chiuse nel proprio guscio e a voltare le spalle alla realtà – e sistemi di pensiero che descrivevano gli esseri umani come individui impotenti, creando un circolo vizioso che privava di vitalità le persone.
In questo contesto Nichiren descrive la scena del Sutra del Loto in cui emerge la Torre preziosa e ha inizio il processo di trasformazione della terra affermando che la Torre apparsa alle persone riunite in assemblea corrisponde in realtà ai loro «corpi individuali».25 Insegna così che risvegliarsi al fatto che dentro di noi esiste la stessa luce nobile e splendente che promana dalla Torre preziosa – una luce capace di illuminare questo mondo pieno di sofferenza – diviene la sorgente per rivelare il nostro potenziale umano illimitato. Sostiene inoltre l’importanza di creare con le nostre mani il mondo che desideriamo, attraverso gli sforzi di ogni persona per risplendere come una Torre preziosa e impegnarsi sempre di più per illuminare di speranza la società.
Nel febbraio 2005 incontrai l’attivista ambientale Wangari Maathai (1940-2011) e parlai con lei dell’impresa con cui riuscì ad accendere la speranza verso la costruzione di un nuovo mondo partendo dal suo ambiente più immediato. Riflettendo sul Movimento della cintura verde, che ebbe inizio piantando semplicemente sette piccoli alberi, Maathai disse: «Il futuro non esiste nel futuro. Nasce solo dalle nostre azioni nel presente. Se vogliamo realizzare qualcosa nel futuro, dobbiamo agire adesso».
Ho un vivido ricordo del sorriso radioso che le illuminò il volto come una brezza di primavera quando gli studenti dell’Università Soka la accolsero cantando in kikuyu, la sua lingua natale, la canzone del Movimento della cintura verde.
Questa è la nostra terra.
La nostra missione
è piantare alberi qui.
Mentre la guardavo mormorare questi versi e muoversi al ritmo della canzone, mi fu chiaro che quella che vedevo era la gioia che deriva dall’impegno nella sfida della costruzione. Quella gioia, che emanava dal suo intero essere, fu la forza trainante che permise al Movimento della cintura verde di diffondersi in tutta l’Africa a partire dal Kenya.
Incidentalmente il nostro incontro avvenne appena due giorni dopo l’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, la prima convenzione per la riduzione delle emissioni dei gas serra. Forse il movimento avviato da Wangari Maathai in Kenya non ebbe una risonanza pari a quella di questo evento storico, ma con il passare del tempo la speranza che le sue azioni avevano acceso crebbe e guadagnò sostegno, diventando infine una campagna in partenariato con il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) che proseguì anche dopo la sua morte. Grazie a questa iniziativa sono stati piantati più di 15 miliardi di alberi in tutto il mondo.26 Inoltre lo scorso anno, durante il Summit di azione sul clima, vari paesi dal Pakistan al Guatemala si sono impegnati a piantare più di 11 miliardi di alberi.27
Le parole di Wangari Maathai mi sono rimaste impresse ancora oggi: «Anche se pensiamo che una particolare azione a livello individuale sia qualcosa di molto piccolo, provate a immaginarla ripetuta per molti milioni di volte e di certo farà la differenza».28
Le sue parole trasmettono il senso della gioia potente che deriva dall’impegno nella sfida della costruzione.
La mostra della Sgi Semi di speranza descrive gli sforzi di individui che come Wangari Maathai hanno dato inizio a movimenti di persone comuni, tra i quali la futurologa Hazel Henderson con le sue iniziative per combattere l’inquinamento atmosferico. Wangari Maathai fu spronata ad agire vedendo tagliare gli alberi di fico, considerati sacri dalla gente del suo paese, per inseguire lo sviluppo economico. Hazel Henderson entrò in azione perché si accorse del grave inquinamento atmosferico della città in cui viveva, New York, e che sua figlia tornava a casa da scuola con la pelle ricoperta di fuliggine.
In entrambi i casi un intenso dispiacere le rese profondamente consapevoli di ciò che consideravano prezioso e che non erano disposte a perdere. Ma non si lasciarono paralizzare dal dolore. Wangari Maathai si mobilitò per espandere il suo movimento basato sull’impegno di spezzare il ciclo di povertà e fame e promuovere la pace piantando alberi. Analogamente Hazel Henderson iniziò a impegnarsi insieme ad altre persone che condividevano il suo pensiero, perché desiderava che bambini e bambine tornassero a respirare aria pulita. Entrambe trasformarono il dolore nell’energia della costruzione che avrebbe permesso loro di realizzare il mondo che speravano di vedere.
Dopo aver descritto le loro storie, la mostra Semi di speranza si conclude con un pannello che raffigura un albero pieno di foglie che si ramificano in ogni direzione nello spazio circostante. Qui i visitatori sono invitati a considerare insieme le sfide che possono affrontare, a partire dal luogo in cui si trovano, al fine di piantare nel mondo semi di speranza.
L’iniziativa Un75, partita questo mese [gennaio 2020] per celebrare il settantacinquesimo anniversario della fondazione dell’Onu, mira a incoraggiare la discussione e le azioni per la costruzione di un mondo migliore alla luce delle molte problematiche che abbiamo di fronte. Creando svariate opportunità di dialogo, l’iniziativa si concentra specialmente sull’obiettivo di raggiungere quelle persone le cui voci sono troppo spesso trascurate e ignorate dalla società internazionale, per «ascoltare le loro speranze e i loro timori» e «imparare dalle loro esperienze».29 Attraverso questi dialoghi l’Onu sta cercando di dare forma a una visione globale per l’anno 2045, in cui cadrà il suo centenario, e nuovo impulso a una collaborazione fattiva per rendere quella visione una realtà concreta.
Poiché il cambiamento climatico è una delle questioni al centro del dibattito all’interno delle Nazioni Unite, è essenziale sfruttare questa opportunità per concentrarsi sulle angosce e i timori delle popolazioni colpite direttamente dalla crisi e utilizzare le loro storie per stimolare azioni costruttive al fine di realizzare un mondo migliore. I punti di vista di tante persone, a partire da quelle che subiscono direttamente il cambiamento climatico, sono elementi integranti della visione globale del futuro che desideriamo. La chiave consiste nel comporre tali tessere per creare un mosaico basato sull’esperienza viva di esseri umani reali.
Grazie alle iniziative di collaborazione che emergeranno da questi dialoghi, e attraverso la diffusione di una visione in cui le persone si sentano coinvolte e che possano condividere, sono convinto che riusciremo ad accelerare il processo di contrasto al riscaldamento globale consolidando al tempo stesso le basi per la costruzione di una società globale sostenibile.
Iniziative per il clima guidate dai giovani
In terzo luogo propongo di impegnarci a far sì che i prossimi dieci anni siano dedicati a iniziative per il clima guidate dai giovani, come elementi integranti del Decennio d’azione per raggiungere gli Obiettivi globali appena lanciato dall’Onu.30
Il Summit dei giovani sul clima, che si è svolto poco prima del Summit di azione sul clima del settembre scorso, potrebbe indicare la nascita di un nuovo tipo di Onu alla luce dei seguenti elementi:
- I giovani di oltre 140 paesi hanno partecipato come rappresentanti non solo dei rispettivi Stati ma di un’intera generazione.
- I giovani, e non i funzionari dell’Onu, hanno moderato i dibattiti.
- Anziché il consueto format degli incontri Onu, in cui i vari oratori si susseguono uno dopo l’altro, si è cercato di promuovere una discussione più vivace.
Ma la cosa più importante è stata la funzione del segretario generale Guterres, che ha partecipato alla sessione inaugurale in qualità di keynote listener (ascoltatore dei temi principali)31 concentrandosi intensamente su ciascuna delle dichiarazioni dei rappresentanti dei giovani.
Nel 2006 avanzai una proposta per la riforma delle Nazioni Unite nella quale suggerivo che ogni anno, fra i lavori preparatori all’Assemblea generale, sarebbe stato utile convocare una riunione di rappresentanti dei giovani da tutto il mondo per offrire ai leader mondiali l’opportunità di ascoltare le idee delle nuove generazioni. Direi che il Summit dei giovani sul clima è stato proprio un esempio lungimirante di questa pratica.
Inoltre gli scioperi globali per il clima hanno impresso un forte impulso a iniziative concrete a livello internazionale. Solo nella settimana del summit più di 7 milioni e 600 mila persone in 185 paesi hanno partecipato a mobilitazioni in cui si chiedeva un’azione urgente per combattere il riscaldamento globale.32 Il movimento ha avuto origine da una studentessa svedese delle scuole superiori, Greta Thunberg, che nell’estate del 2018 ha iniziato uno sciopero scolastico per chiedere una risposta più decisa alla crisi climatica. Il suo comportamento ha suscitato una reazione immediata nei giovani di tutto il mondo e da allora si sono avuti sempre più scioperi ai quali hanno partecipato persone di tutte le età.
Christiana Figueres, che ha svolto un ruolo importante nella conferenza sul clima di Parigi come segretaria esecutiva della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, e che adesso è a capo di Mission 2020, un’iniziativa volta a garantire la realizzazione degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi, ha dichiarato: «L’indignazione e la rabbia che si notano nelle strade sono totalmente giustificate perché queste persone, in particolare quelle giovani, comprendono la scienza, comprendono le implicazioni per la loro vita e sanno che è possibile affrontare la questione».33 Ha spiegato che i giovani sanno che un cambiamento non è impossibile e per questo esprimono il loro sdegno davanti alla lentezza degli sforzi per prevenire il riscaldamento globale; e che in futuro, se a tale sdegno si coniugherà l’ottimismo, possiamo aspettarci che emerga qualcosa di ancora più potente.
Christiana Figueres ha visitato la sede della Soka Gakkai nel febbraio dello scorso anno. In un articolo sul quotidiano giapponese Seikyo Shimbun, in cui rifletteva sul processo grazie al quale l’Accordo di Parigi è divenuto realtà anche se molti lo ritenevano impossibile, ha scritto che «non si può vincere senza ottimismo».34
Non posso fare a meno di pensare che quando la volontà dei giovani di trasformare la realtà si fonde con un indomabile ottimismo, le possibilità sono illimitate.
L’impegno dei giovani per combattere il cambiamento climatico sta favorendo l’attivazione di numerose iniziative da parte di persone e organizzazioni in varie parti del mondo. Ne è un esempio la rete degli istituti universitari e post universitari di cui fanno parte a oggi più di 16 mila istituzioni educative, che hanno adottato una dichiarazione in cui si impegnano ad affrontare la crisi attraverso il loro lavoro con gli studenti e le studentesse. Fra i loro programmi compaiono la realizzazione della neutralità climatica, la destinazione di maggiori risorse alla ricerca sul clima, il potenziamento dell’educazione ambientale e alla sostenibilità sia nei campus sia attraverso programmi che coinvolgano l’intera comunità.35
Un altro esempio è costituito dalla mobilitazione delle città e delle amministrazioni locali di tutto il mondo con il Patto dei sindaci per il clima e l’energia, che conta più di diecimila aderenti in 138 paesi. Tali municipalità si sono impegnate ad adottare misure per la riduzione delle emissioni di CO2.36
«I giovani “generatori di cambiamento” sul clima stanno realizzando una nuova coscienza collettiva»37 ha affermato lo studente e attivista argentino Bruno Rodríguez durante il Summit dei giovani sul clima; l’energia e l’entusiasmo delle giovani generazioni stanno dando inizio a un ciclo di cause positive.
Mentre assisto a questi fermenti di una nuova epoca, mi tornano alla mente le parole di Aurelio Peccei (1908-84), cofondatore del Club di Roma, che nel 1981 scrisse: «Ci sono anche motivi di giustizia e democrazia per i quali le voci dei giovani vanno ascoltate».38
Il Club di Roma è famoso perché più di mezzo secolo fa avvertì la comunità internazionale che la Terra e le sue risorse non erano illimitate, stimolando le riflessioni che hanno portato al concetto di sostenibilità. Peccei ebbe in questo processo un ruolo centrale, ripetendo spesso quanto fosse importante offrire ai giovani maggiori opportunità di agire e di esercitare le loro capacità immaginative e di leadership. Incontrai Peccei in varie occasioni a partire dal 1975 e ricordo molto bene quanto spesso ribadisse questo punto.
Ascoltare la voce dei giovani non è semplicemente un’opzione o la scelta migliore: è l’unico modo sensato per andare avanti, un passo che non possiamo saltare se siamo davvero preoccupati per il futuro del mondo. Ed egli ne era fermamente convinto.
Pur considerando gratificante e stimolante il suo lavoro di imprenditore, Peccei alla fine decise di chiudere quel capitolo della sua vita per fondare il Club di Roma, alla luce di una consapevolezza che si andava radicando in lui: «Mi resi gradualmente conto che concentrare praticamente tutti i mei sforzi su progetti e programmi personali mentre si stava deteriorando il contesto più ampio nel quale si collocavano – cioè la situazione globale – sarebbe stata un’azione futile».39
Il Club di Roma, fondato nel 1968 sulla base di tali preoccupazioni, nei primi anni ebbe difficoltà a ottenere risultati tangibili. Nonostante il forte impegno per richiamare l’attenzione sulle sfide esistenziali che la Terra aveva di fronte, era «come se i problemi globali che stavamo sollevando riguardassero un altro pianeta». Persino coloro che valutavano positivamente le iniziative del Club premettevano che «però non dovevano interferire con la loro sfera di interessi o di attività quotidiane».40
Il rapporto I limiti dello sviluppo, che rese famoso il Club di Roma, fu pubblicato quattro anni dopo la sua fondazione, nel 1972, ed ebbe un notevole impatto, diffondendo la consapevolezza della finitezza della Terra e delle sue risorse naturali, anche se numerosi esperti lo criticarono definendolo troppo pessimistico. Eppure Peccei non si scoraggiò e mantenne l’incrollabile convinzione che fosse importante «compiere seriamente e rapidamente i primi passi nella giusta direzione».41 Non perse mai la fiducia nel potenziale illimitato di ogni essere umano.
Il nostro primo incontro avvenne nel maggio 1975, pochi mesi dopo la fondazione della Sgi. Peccei era una delle persone di cui lo storico Arnold Toynbee (1889-1975) mi aveva parlato quando andai a trovarlo a Londra nel maggio 1973, un anno dopo la pubblicazione de I limiti dello sviluppo. Avevamo appena concluso la nostra serie di conversazioni, durata circa quaranta ore nell’arco di due anni, e Toynbee espresse la speranza che continuassi questi dialoghi con vari suoi amici fra cui Peccei.
Mentre stavamo prendendo accordi per incontrarci in occasione della mia successiva visita in Europa, Peccei venne a sapere che a Guam si sarebbe tenuta la nostra Prima conferenza mondiale per la pace e inviò un messaggio di congratulazioni.
In quella conferenza, durante la quale il 26 gennaio 1975 fu fondata la Sgi, scrissi sul libro degli ospiti come paese d’origine “il mondo”. Proprio all’inizio di tale impresa volevo racchiudere in quelle due parole lo spirito dei fondatori, il presidente Makiguchi e il presidente Toda. Makiguchi aveva sempre sostenuto che il mondo fosse un luogo in cui impegnarsi consapevolmente a coesistere gli uni con gli altri come suoi cittadini, e non solo come membri di una certa comunità nazionale. La determinazione di Toda era che nessuna persona, di qualsiasi nazionalità, vedesse mai calpestati i suoi diritti e i suoi interessi, una visione che egli chiamava “nazionalismo globale” (giapp. chikyu minzokushugi).
Quando ci incontrammo quattro mesi dopo, Peccei aveva con sé una copia della traduzione inglese de La rivoluzione umana, la mia cronaca romanzata della storia della Soka Gakkai a partire dai presidenti Makiguchi e Toda. Mi disse che sentiva un’affinità profonda con il nostro movimento della “rivoluzione umana”, un movimento che mira a trasformare l’epoca attraverso gli sforzi messi in atto da ogni persona per realizzare il proprio potenziale intrinseco. Il suo sostegno in quel momento fu per me di grande incoraggiamento.
Nella nostra raccolta di dialoghi (pubblicata in Italia con il titolo Campanello d’allarme per il XXI secolo) egli afferma: «Esiste in ogni singolo individuo un patrimonio di capacità e di qualità rimasto a tutt’oggi in letargo, ma che può essere finalmente portato alla luce e sfruttato al fine di correggere il processo di deterioramento della condizione umana».42
La comparsa oggi di un gran numero di giovani che stanno combattendo coraggiosamente contro la crisi climatica è proprio la manifestazione del potere di questa generazione nella quale Peccei riponeva tante speranze. A differenza di temi come l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse, oggetto di preoccupazione nel periodo in cui fu pubblicato I limiti dello sviluppo, le cui cause possono essere per la maggior parte individuate e analizzate separatamente, i fattori che causano il cambiamento climatico sono talmente integrati in ogni ambito della vita quotidiana e dell’attività economica da rendere molto più difficile l’individuazione di soluzioni.
Al Parlamento europeo, nell’ottobre scorso, l’attuale co-presidente del Club di Roma Sandrine Dixson-Declève ha elencato dal Piano di emergenza planetaria del Club di Roma dieci azioni urgenti necessarie per passare a un’economia circolare, fra cui la transizione a un’energia con basse emissioni di carbonio e l’aumento degli investimenti in fonti di energia rinnovabili.43
Proprio perché la sfida del cambiamento climatico è così complessa e richiede un approccio multiforme, possiamo considerarla un’occasione unica per gli esseri umani di esprimere in modo diversificato il loro potenziale illimitato.
Quanto sia vasta questa varietà si è visto nei numerosi forum tenuti al Summit dei giovani sul clima, ai quali hanno partecipato alcuni rappresentanti della Sgi, dove sono state esplorate, solo per citarne alcune, soluzioni innovative negli ambiti della conservazione ambientale, delle start-up, della finanza, della tecnologia, dell’arte, dello sport, della moda, dei social media e dei video virali.
Desidero sottolineare che la dichiarazione politica del Summit sugli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, adottata dall’Onu subito dopo il Summit dei giovani sul clima, definisce il periodo precedente al 2030 come un «decennio di azioni e realizzazioni per lo sviluppo sostenibile»44 e afferma che dobbiamo costruire collaborazioni durature che coinvolgano tutte le parti interessate, fra cui i giovani.
Sulla base di questa dichiarazione, il segretario generale Guterres ha varato un nuovo Decennio d’azione chiedendo azioni a livello globale e locale nonché iniziative della società civile che coinvolgano i giovani. Auspico che tali iniziative comprendano la promozione attiva dell’impegno guidato dai giovani per individuare soluzioni ai problemi del clima.
Greta Thunberg, che sta guidando il movimento per combattere il cambiamento climatico, ha tenuto un discorso alla Conferenza Onu sul cambiamento climatico (Cop25) che si è svolta a Madrid il mese scorso (dicembre 2019). Sottolineando l’importanza del decennio che precede il 2030 ha affermato: «Di fatto ogni grande cambiamento nella storia è stato compiuto dalle persone comuni. Non dobbiamo aspettare. Possiamo iniziare il cambiamento proprio adesso».45
A questo proposito propongo che il Summit dei giovani sul clima si tenga ogni anno in modo da imprimere una nuova direzione alle Nazioni Unite, e suggerisco che l’Onu operi in stretta collaborazione con la società civile per promuovere un’ampia gamma di attività che nei prossimi dieci anni vedano ovunque i giovani alla guida della lotta per il cambiamento climatico.
Inoltre, per rafforzare questa tendenza, desidero proporre al Consiglio di sicurezza l’adozione di una risoluzione che garantisca la partecipazione regolare dei giovani alle decisioni che riguardano il clima, sul modello della risoluzione 2250 del Consiglio di sicurezza, che esorta gli Stati membri a rafforzare il ruolo dei giovani nelle questioni legate alla pace e alla sicurezza.
A settembre è prevista una riunione ad alto livello per celebrare il settantacinquesimo anniversario della fondazione delle Nazioni Unite, alla quale i giovani di tutto il mondo dovrebbero essere invitati come partner principali. L’adozione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza come quella a cui accennavo prima segnerebbe l’inizio di un decennio di azioni guidate dai giovani e aprirebbe un nuovo capitolo nella storia delle Nazioni Unite.
Il programma Soka Global Action, avviato dai giovani della Sgi in Giappone nel 2014, quest’anno sarà rilanciato come Soka Global Action 2030. Il suo obiettivo è la formazione di un gruppo di persone impegnate ad agire a livello di base e comprende l’iniziativa “Le mie dieci sfide”, con la quale gli individui sono incoraggiati a ridurre la loro impronta ecologica nella vita quotidiana.
La strada per risolvere il problema del cambiamento climatico e realizzare gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile non sarà facile né piana; tuttavia ho la profonda fiducia che grazie alla solidarietà dei giovani nessuna difficoltà sarà insormontabile.
Sostenere l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari
Per contribuire alla creazione di una società globale sostenibile, in cui ogni persona possa vivere con dignità e senso di sicurezza, desidero adesso avanzare alcune proposte concrete relative a quattro ambiti principali.
Il primo riguarda il Trattato per la proibizione delle armi nucleari (Tpnw). È della massima importanza che entri in vigore quest’anno, in cui cade il settantacinquesimo anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. In tal modo il 2020 sarebbe ricordato come l’anno in cui finalmente l’umanità ha iniziato a lasciarsi alle spalle l’era nucleare.
Dalla sua adozione nel luglio 2017, il Trattato è stato firmato da ottanta Stati e ratificato da trentacinque;46 altre nazioni devono firmarlo e ratificarlo al più presto affinché si raggiungano le cinquanta ratifiche necessarie per la sua entrata in vigore.
Con la scadenza del Trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Inf), una pietra miliare nel processo di disarmo di Stati Uniti e Federazione russa, la corsa alle armi nucleari minaccia di riaccendersi. Le condizioni mondiali sono tali che, come sostiene la direttrice dell’Istituto per la ricerca sul disarmo dell’Onu Renata Dwan, «dopo la seconda guerra mondiale il rischio che vengano impiegate armi nucleari […] non è mai stato alto come in questo momento».47
Per realizzare una forte controtendenza è urgente che il Trattato per la proibizione delle armi nucleari entri in vigore. Al momento nessuno Stato possessore di armi nucleari o dipendente da esse vi ha aderito, ma la proibizione dell’uso di questi ordigni «in qualsiasi circostanza»,48 sancita dal Trattato, ha un enorme significato storico: rappresenta il voto degli hibakusha di tutto il pianeta – le vittime dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e quelle dei test e della produzione di armi nucleari – di non permettere mai che nessun altro debba soffrire quanto loro.
L’adozione del Trattato ha fatto seguito a una serie di risoluzioni Onu adottate nel corso dei decenni per rispondere al problema delle armi nucleari, a partire dalla prima risoluzione adottata dall’Assemblea generale nel 1946, che ne chiedeva l’eliminazione. Come ha affermato il segretario generale Guterres: «L’eliminazione totale delle armi nucleari è il Dna delle Nazioni Unite».49
L’attuale ritmo con cui viene firmato e ratificato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari è simile a quello del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), che alla sua entrata in vigore nel marzo del 1970 era stato firmato da 57 Stati e ratificato solo da 47. Ma la norma proibitiva riguardo alla proliferazione delle armi nucleari ha guadagnato sempre più popolarità grazie all’esistenza di tale trattato. Molte nazioni che stavano valutando le proprie opzioni in questo senso scelsero volontariamente di diventare Stati non nucleari. Il Sudafrica, per esempio, che aveva costruito e possedeva armi nucleari, pose fine al programma di sviluppo e smantellò il suo arsenale per aderire al Trattato di non proliferazione.
Fino all’entrata in vigore del Tnp la non proliferazione nucleare era solo un ideale, ma una volta che le ratifiche iniziarono a crescere quell’ideale si trasformò in realtà ed esercitò una forte influenza a livello mondiale. Come dimostra questo precedente, l’entrata in vigore di un trattato può imprimere un nuovo corso al mondo anche se il numero di Stati aderenti all’inizio è limitato.
A proposito del significato di istituire una norma internazionale, desidero citare un importante articolo di Merav Datan e Jürgen Scheffran, che parteciparono alla stesura del Modello di convenzione sulle armi nucleari (Nwc) sottoposta all’Onu nel 1997, antesignana del Trattato per la proibizione delle armi nucleari: «Se la separazione tra la legislazione internazionale e le relazioni internazionali rappresenta il divario fra l’ideale e la realtà, potremmo affermare che il Modello di convenzione sulle armi nucleari incarna l’ideale mentre il Trattato di non proliferazione nucleare rappresenta la realtà. Il Trattato per la proibizione delle armi nucleari li comprende entrambi: rappresenta l’ideale, perché nessuno Stato nucleare lo ha ancora firmato, e al tempo stesso rappresenta la realtà perché esiste».50
Scrivono inoltre: «Le tendenze che contrastano il disarmo sono di certo una realtà, ma non possono negare l’evoluzione e il valore delle norme».51 Sono pienamente d’accordo con loro: è necessario perseguire l’obiettivo di attribuire un tale peso alla proibizione dell’uso delle armi nucleari in qualsiasi circostanza – stabilita con l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari – al punto che nessuno Stato possa metterla in discussione.
Secondo il rapporto 2019 di Norwegian People’s Aid, partner della Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari (Ican), attualmente 135 paesi sostengono il Trattato52 e anche il numero delle municipalità che hanno assicurato il proprio sostegno sta crescendo. L’Appello alle città lanciato da Ican nel 2018 è stato raccolto da città grandi e piccole di Stati nucleari come gli Usa, il Regno Unito e la Francia, e di Stati dipendenti dal nucleare come la Germania, l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo, l’Italia, la Spagna, la Norvegia, il Canada, il Giappone, l’Australia e anche la Svizzera. Fra queste città compaiono Washington e Parigi, capitali di Stati nucleari, e Berlino, Oslo e Canberra, capitali di Stati dipendenti dal nucleare.53
Nell’ottobre 2019 è stato sottoposto all’Onu l’Appello degli hibakusha, firmato da dieci milioni e mezzo di persone fra cui molti cittadini di Stati nucleari e dipendenti dal nucleare.54 La richiesta di una petizione che esortasse tutti gli Stati ad aderire al Trattato per la proibizione delle armi nucleari era stata formulata nel 2016 dagli hibakusha di Hiroshima e Nagasaki ed è stata sostenuta dal Comitato per la pace della Soka Gakkai.
Per compiere un passo avanti decisivo che renda la proibizione delle armi nucleari una norma valida in tutto il mondo, è essenziale riunire insieme le varie espressioni della volontà popolare globale che la sostengono. A tal fine suggerisco di indire un forum della società civile a Hiroshima o Nagasaki dopo la prima riunione degli Stati parti del Tpnw, che secondo il trattato deve avvenire entro un anno dalla sua entrata in vigore.
Il forum dovrebbe riunire gli hibakusha di tutto il mondo, le municipalità che sostengono il trattato e i rappresentanti della società civile. Propongo questo forum perché sono convinto che, per rendere la proibizione delle armi nucleari una norma mondiale valida per l’umanità, sia compito delle persone comuni stimolare un dibattito basato sulla consapevolezza che gli orrori causati da questi ordigni non debbano ripetersi mai più.
Auspico che il Giappone, unico paese ad aver subìto un attacco nucleare in tempo di guerra, continui a lavorare per approfondire il dibattito internazionale sulla natura inumana delle armi nucleari e funga da ponte fra Stati nucleari e non nucleari.
Sono state le tre conferenze internazionali sull’impatto umanitario dell’uso di armi nucleari, iniziate nel 2013, ad aprire la strada ai negoziati per un trattato che proibisce tali ordigni, dopo una tenace resistenza durata più di settant’anni. Queste conferenze hanno messo in luce i seguenti punti:
- È improbabile che un qualsiasi Stato o organizzazione internazionale possa affrontare singolarmente in maniera adeguata l’emergenza umanitaria causata da un’esplosione nucleare e fornire appropriata assistenza alle vittime.
- L’impatto di un’esplosione nucleare non sarebbe circoscritto entro i confini nazionali, ma causerebbe effetti devastanti e a lungo termine, e potrebbe addirittura minacciare la sopravvivenza dell’umanità.
- Gli effetti indiretti di un’esplosione nucleare causerebbero anche distruzione ecologica e ostacoli allo sviluppo socioeconomico, e sarebbero avvertiti soprattutto dai segmenti più poveri e vulnerabili della società.
Le conferenze hanno spostato l’asse del dibattito sulle armi nucleari dalle questioni di sicurezza nazionale all’impatto umanitario del loro uso, contribuendo così a velocizzare l’inizio dei negoziati per un trattato di messa al bando.
Nell’ottobre 2018, dopo l’adozione del Trattato per la proibizione delle armi nucleari, il Comitato dell’Onu per i diritti umani, responsabile del monitoraggio e dell’applicazione della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) del 1966, ha adottato una dichiarazione generale in cui si afferma che la minaccia o l’uso delle armi nucleari è «incompatibile con il rispetto del diritto alla vita»,55 e si sottolinea che il diritto alla vita «non ammette alcuna deroga»,56 nemmeno in situazioni di emergenza.
Ciò evidenzia la rilevanza unica di tale dichiarazione all’interno della legislazione internazionale sui diritti umani. È uno sviluppo significativo, che pone in relazione la natura problematica della minaccia o dell’uso delle armi nucleari con uno dei capisaldi della legislazione internazionale sui diritti umani. Questo era anche il punto focale della dichiarazione per l’abolizione delle armi nucleari che pronunciò il mio maestro Josei Toda nel settembre 1957.
Il diritto alla vita dovrebbe rappresentare un tema centrale di questo forum della società civile per un mondo libero dalle armi nucleari, e la legislazione internazionale sui diritti umani potrebbe costituire una lente per mettere a fuoco la natura disumana di tali armi. Il forum inoltre potrebbe inoltre rappresentare un’opportunità per condividere idee riguardo a un mondo in cui tali armi fossero proibite.
Nel corso del dibattito che ha portato alla stesura del Trattato per la proibizione delle armi nucleari è stata una voce femminile a mettere in luce un aspetto, per lo più ignorato, dei danni causati dalle armi nucleari, invitando ad assumere una prospettiva di genere fino ad allora considerata irrilevante in tale ambito. Mary Olson, del Nuclear Information and Resource Service, alla Conferenza di Vienna sull’impatto umanitario delle armi nucleari del dicembre 2014 ha infatti dimostrato che il danno causato dalle radiazioni generate dalle armi nucleari potrebbe essere più grave per le donne che per gli uomini. Ciò ha stimolato ulteriori discussioni e alla fine il concetto è stato incluso nel preambolo del Tpnw: «Riconoscendo che la pari, piena ed efficace partecipazione delle donne e degli uomini costituisce un fattore essenziale per la promozione e il conseguimento di pace e sicurezza sostenibili, e impegnandosi a sostenere e rafforzare l’effettiva partecipazione delle donne al disarmo nucleare…».57
Ciò mette in luce da una prospettiva di genere i contorni di una visione del mondo che si potrebbe realizzare con la proibizione delle armi nucleari.
Fra le testimonianze di hibakusha di Hiroshima e Nagasaki raccolte e pubblicate dalla Soka Gakkai nel corso degli anni vi sono storie di numerose donne. In Joseitachi no Hiroshima (Le donne di Hiroshima), pubblicato nel 2016, quattordici donne narrano le sofferenze che hanno patito dopo essere sopravvissute al bombardamento, come per esempio le discriminazioni e i pregiudizi legati al matrimonio o alla nascita dei figli che hanno subìto, vivendo nella paura dei postumi delle radiazioni.58 Il loro messaggio non si limita alla determinazione di non permettere che altri debbano mai soffrire quanto loro ma, come indica il sottotitolo del libro “Per un futuro luminoso e sorridente”, è animato dalla promessa di lavorare insieme per un mondo pacifico in cui mamme e bambini possano sentirsi al sicuro.
Per sostenere l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari e affermarne la rilevanza universale, è essenziale che un grande numero di persone condivida speranze e determinazioni che nascono in seno alla realtà della vita quotidiana. Sono convinto che l’efficacia del Trattato come norma globale dell’umanità verrebbe potenziata da questo ampio sostegno popolare al di là delle differenze di nazionalità o ideologia. Il Tpnw infatti riesce a coinvolgere non solo coloro che già lavorano per la pace e il disarmo, ma anche chi si preoccupa dei diritti umani e di genere, o del futuro dei propri figli e della propria famiglia.
Negoziati multilaterali per il disarmo nucleare
Il secondo ambito in cui desidero formulare proposte concrete riguarda le politiche per realizzare progressi sostanziali verso il disarmo nucleare. In particolare suggerisco che nella dichiarazione finale della Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, che si terrà presso la sede delle Nazioni Unite a New York ad aprile e maggio prossimi, siano inclusi due accordi: il primo sull’avvio di negoziati multilaterali per il disarmo e il secondo riguardante una seria riflessione sulla convergenza fra nuove tecnologie, tra cui l’intelligenza artificiale, e le armi nucleari.
Rispetto al primo accordo, ritengo essenziale prolungare la durata del Nuovo trattato di riduzione delle armi strategiche (Nuovo Start) fra Stati Uniti e Russia e dare poi inizio a negoziati multilaterali sul disarmo nucleare. Il Nuovo Start, che dovrebbe scadere nel febbraio 2021, sancisce una riduzione delle testate nucleari strategiche di entrambi i paesi a 1.550 e limita a 700 la totalità dei missili balistici intercontinentali (Icbm), di quelli per impiego sui sottomarini (Slbm) e su altri sistemi di trasporto. Il trattato può essere prolungato di cinque anni, ma i negoziati attualmente sono in fase di stallo.
Con la perdita delle clausole del Nuovo Start, che fa seguito alla scadenza del trattato Inf, per la prima volta in cinquant’anni non ci sarebbero più restrizioni alla detenzione di arsenali nucleari per entrambi i paesi e c’è il rischio che questo vuoto inviti a una nuova corsa agli armamenti. Inoltre il rapido sviluppo di testate nucleari miniaturizzate e di armi supersoniche apre alla possibilità futura dell’uso di armi nucleari in conflitti geograficamente circoscritti. Perciò è assolutamente essenziale la proroga di cinque anni del Nuovo Start.
In tal senso la Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione dovrebbe incoraggiare una moratoria sulla modernizzazione delle armi nucleari. Gli Stati parti dovrebbero sviluppare l’idea comune della necessità di avviare negoziati per il disarmo multilaterale prima della prossima Conferenza di revisione del Tnp nel 2025. Nei cinquant’anni di storia di questo trattato gli unici accordi quadro stipulati sono stati quelli fra Stati Uniti e Russia, e non è mai stato realizzato alcun disarmo nucleare effettivo attraverso processi multilaterali. La Conferenza di revisione 2020 deve costituire l’occasione per ribadire che il Tnp è l’unico trattato legalmente vincolante nel quale tutti gli Stati detentori di armi nucleari condividono lo scopo del disarmo e si impegnano a raggiungerlo. Inoltre è necessario assicurare visibilità a questa presa di posizione.
Riguardo alle misure concrete da prendere a tal fine vi sono varie strade, ma io proporrei che, sulla base dell’estensione ad altri cinque anni del Nuovo Start, gli Stati Uniti, la Russia, il Regno Unito, la Francia e la Cina diano avvio a negoziati per un nuovo trattato per il disarmo nucleare, a partire da una discussione sui regimi di verifica.
Alla luce della lunga esperienza di verifica accumulata da Stati Uniti e Russia, e del dibattito all’interno del Partenariato internazionale per la verifica del disarmo nucleare fondato cinque anni fa, al quale aderiscono molti paesi, questi cinque Stati dovrebbero iniziare a deliberare riguardo agli ostacoli al disarmo nucleare. La fiducia che scaturirebbe da questo dialogo potrebbe accelerare l’avvio di negoziati relativi a obiettivi numerici di riduzione delle armi nucleari.
Per creare le condizioni di un disarmo nucleare multilaterale ritengo utile riesaminare il concetto di “sicurezza comune”, che contribuì a promuovere le iniziative per porre fine alla guerra fredda. “Sicurezza comune” era il titolo del rapporto scritto da una commissione presieduta dal primo ministro svedese Olof Palme (1927-1986) e sottoposto alla Seconda sessione speciale dell’Assemblea generale sul disarmo (Ssod II) nel giugno 1982. Basandosi sulla consapevolezza che in una guerra nucleare non possono esserci vincitori, il rapporto invitava a una trasformazione delle coscienze: «Gli Stati non possono più ricercare la propria sicurezza a spese di quella degli altri, ma devono farlo attraverso progetti cooperativi».59
Anch’io la penso così, e nella mia proposta in occasione del Ssod II scrissi: «Alla luce di uno scontro fra arsenali nucleari giganteschi, è chiaro che nessuna ulteriore espansione militare potrebbe mai condurre a una pace autentica».60
Nell’anno precedente, il 1981, caratterizzato da crescenti tensioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica, le dichiarazioni del presidente Usa Ronald Reagan (1911-2004) facevano presagire la possibilità di una guerra nucleare limitata. In seguito, ripensando a quei momenti, Reagan disse: «La nostra politica era basata sulla forza e sul realismo. Io volevo la pace con la forza e non con un pezzo di carta».61
Ma assistendo alla crescita del movimento antinucleare negli Stati Uniti e in Europa, e prendendo maggiormente coscienza dell’orribile distruzione che l’uso delle armi nucleari avrebbe provocato, Reagan cominciò ad avvertire più profondamente la necessità di evitare un conflitto nucleare. Iniziò anche a considerare più attentamente i veri sentimenti del popolo dell’Unione Sovietica, il paese con il quale gli Stati Uniti erano in competizione. In seguito, come qui racconta, rifletté sulle sue modalità di comunicazione con l’allora segretario generale del Pcus (partito comunista dell’Unione Sovietica) Konstantin Černenko (1911-85): «In una lettera a Černenko scrissi che credevo sarebbe stato utile per noi comunicare direttamente e in via confidenziale. Cercai di usare la tecnica dell’empatia del vecchio attore. […] Gli dissi che mi rendevo conto che in Unione Sovietica alcune persone avevano realmente paura del nostro paese».62
In questo modo Reagan riuscì a percepire che i timori avvertiti negli Stati Uniti erano lo specchio di quelli che provavano in Unione Sovietica.
La sua ricerca di un dialogo con i leader sovietici culminò, a novembre 1985, nell’incontro con il segretario generale Michail Gorbaciov durante il Summit di Ginevra. Anche Gorbaciov era convinto della necessità di risolvere la questione nucleare, e il loro dialogo sincero portò a una dichiarazione congiunta che contiene le famose parole: «Una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta».63
È un modo di pensare simile a quello della sicurezza comune; condusse alla firma del Trattato Inf nel dicembre 1987 e fu determinante per porre fine alla guerra fredda. Oggi le tensioni sugli armamenti nucleari stanno di nuovo aumentando e il mondo si trova di fronte a una situazione che è stata addirittura definita come una nuova guerra fredda. Adesso più che mai è importante far rivivere lo spirito della sicurezza comune e per questa ragione propongo di includere, nel documento finale della Conferenza di revisione del Tnp, la dichiarazione che «una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta».
L’Agenda per il disarmo pubblicata dall’Onu nel maggio 2018 richiede il «disarmo per salvare l’umanità».64 Il giorno successivo alla pubblicazione del rapporto, il sottosegretario generale dell’Onu e Alto rappresentante per gli affari del disarmo Izumi Nakamitsu, che aveva partecipato ai lavori, ha sottolineato la relazione fra sicurezza e disarmo con queste parole: «Il disarmo è la forza motrice della pace e della sicurezza internazionale, è uno strumento utile a garantire la sicurezza nazionale […] Il disarmo non è un ideale utopico ma un tentativo tangibile di prevenire i conflitti e mitigarne l’impatto ovunque e in qualsiasi momento essi si verifichino».65
Impiegando i negoziati sul disarmo nucleare come strumento per realizzare la propria sicurezza, possiamo ridurre il senso di minaccia e insicurezza percepito dagli altri paesi e iniziare così a eliminare quello che noi stessi percepiamo.
Basandosi su questo approccio “win-win” di mutuo beneficio, è ora tempo di promuovere con forza quella ricerca in buona fede del disarmo nucleare alla quale ci impegna l’Articolo VI del Trattato di non proliferazione nucleare.
Un’altra questione sulla quale spero che la Conferenza di revisione del Tnp ricercherà il consenso è la minaccia posta dagli attacchi informatici ai sistemi di armi nucleari e dall’introduzione dell’intelligenza artificiale per il funzionamento di tali sistemi. Spero che la conferenza sviluppi una maggiore consapevolezza di queste minacce e inizi a prendere decisioni riguardo allo sviluppo di un regime di proibizione.
Per quanto le nuove tecnologie che utilizzano l’intelligenza artificiale, Internet e altri processi informatici abbiano recato molti benefici alla società, desta preoccupazione la loro sempre più vasta applicazione per scopi militari.
Nel marzo 2019 si è tenuta a Berlino una conferenza sui rischi delle tecnologie emergenti. Nell’incontro, a cui hanno partecipato i rappresentanti governativi di paesi Nato, Stati membri dell’Unione Europea, Russia, Cina, India, Giappone e Brasile, è stata riservata un’attenzione particolare ai sistemi di armi autonome letali (Laws), i cosiddetti “robot killer”, e all’impatto che le nuove tecnologie potrebbero avere sulle armi nucleari e di altro tipo. Al termine della conferenza i ministri degli esteri di Germania, Olanda e Svezia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui hanno concordato sulla «necessità di generare la consapevolezza diffusa che un potenziale militare accresciuto dalla tecnologia può cambiare la qualità dei conflitti e influenzare la sicurezza globale».66
Questa preoccupazione espressa dagli Stati dipendenti dal nucleare è indicativa della velocità allarmante con cui le nuove tecnologie vengono sviluppate; perciò propongo che si cominci immediatamente a discutere di questo tema nel quadro del Trattato di non proliferazione nucleare.
Quando nel 1995 fu deciso di estendere indefinitamente il Tnp, gli Stati parti concordarono che le conferenze di revisione avrebbero dovuto non solo valutare i risultati delle iniziative passate, ma anche identificare aree per un progresso futuro e i mezzi per realizzarlo.67 Considerando l’urgenza della questione e la portata dei rischi, deve essere garantita la massima priorità al problema delle nuove tecnologie e delle loro implicazioni per le armi nucleari. Gli attacchi informatici, per esempio, potrebbero colpire non solo i centri di comando e controllo dei dispositivi nucleari ma anche una vasta gamma di sistemi a essi legati, come l’allarme anticipato, le comunicazioni e i trasporti. Nel peggiore scenario possibile un attacco informatico a uno di questi sistemi potrebbe anche condurre al lancio o all’esplosione di qualche ordigno nucleare.
Il segretario generale Guterres ha espresso preoccupazione in proposito: «C’è consenso sul fatto che la legislazione internazionale, compresa la Carta delle Nazioni Unite, valga anche per l’ambito informatico. Ma manca il consenso su come esattamente andrebbero applicate queste normative e su come gli Stati possano rispondere ad atti ostili rimanendo nei limiti della legge».68 Per stabilire un precedente in tal senso, e come passo concreto per la riduzione del rischio nucleare, andrebbero assunte misure immediate nell’ambito del Tnp che proibiscano attacchi informatici a sistemi legati alle armi nucleari.
Sono molti anche i pericoli associati all’impiego dell’intelligenza artificiale nelle operazioni di gestione delle armi nucleari. Secondo un rapporto pubblicato dall’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri) nel maggio 2019, i vantaggi nell’adozione dell’intelligenza artificiale – dalla prospettiva degli Stati detentori di armi nucleari – riguardano il fatto che, oltre a eliminare certe limitazioni come la fatica e la paura, che nel tempo possono condurre a un peggioramento delle prestazioni umane, essa permette ai sistemi di accedere a zone in cui l’ambiente è poco favorevole all’essere umano, come le profondità marine e le regioni polari.69
Ma, sempre secondo il rapporto del Sipri, l’affidarsi sempre di più all’intelligenza artificiale potrebbe aumentare i fattori che destabilizzano le operazioni di gestione delle armi nucleari generando rischi sempre maggiori. Prendiamo l’esempio della deterrenza nucleare, che ha una natura eminentemente psicologica e si basa sulle percezioni delle intenzioni dell’avversario.70 Il rapporto evidenzia come i recenti progressi nel campo dell’intelligenza artificiale non rendano più possibile percepire le reali intenzioni dell’avversario. Qualora l’intelligenza artificiale svolgesse un ruolo primario nei sistemi di armi nucleari, la natura opaca di queste tecnologie – delle quali è difficile capire il funzionamento interno come in una sorta di scatola nera – renderebbe sempre più difficoltosa la previsione delle intenzioni dell’avversario, incentivando così la crescita di ansie e sospetti.71 Secondo il rapporto, «durante la guerra fredda Stati Uniti e Unione Sovietica impiegarono grandi quantità di tempo e sforzi per studiare i sistemi strategici e i comportamenti avversari, e i loro rappresentanti militari si incontravano frequentemente, anche se non sempre in maniera produttiva».72
Pur parlando di percezione psicologica, credo che il fattore che aumentava la capacità delle parti di predire le mosse reciproche fosse l’accumulo di esperienze legate a questi incontri faccia a faccia. Durante la guerra fredda si verificarono molti casi, assai pericolosi, in cui per informazioni sbagliate o malfunzionamento i sistemi computerizzati segnalarono erroneamente missili in arrivo. Tali crisi furono contenute grazie alla presenza di spirito delle persone che monitoravano questi sistemi, le quali usarono il buon senso e si fidarono dell’istinto che diceva loro che le informazioni sui monitor erano false e che quindi era sconsigliabile un contrattacco. Oggigiorno, se analizziamo i rischi associati ad attacchi come la pirateria informatica o lo spoofing [un tipo di attacco informatico che impiega in varie maniere la falsificazione dell’identità (spoof) per intercettare informazioni riservate, diffondere informazioni false e tendenziose o effettuare altri tipi di attacco, n.d.t.], l’utilizzo sempre più diffuso di intelligenza artificiale rende questi sistemi ancora più vulnerabili sia agli errori sia alla deliberata falsificazione delle informazioni.
Per quanto i sistemi di armi nucleari possano diventare dipendenti dall’intelligenza artificiale, sembra improbabile almeno a breve termine che la decisione finale di premere il bottone sia delegata a una macchina. Ciononostante dobbiamo affrontare il fatto che questa fretta nell’impiegare l’intelligenza artificiale da parte degli Stati nucleari pone una seria minaccia alla società globale. Pur portando vantaggi addizionali in termini di velocità e quindi di superiorità militare, potrebbe anche far sorgere dilemmi come quello che dovettero affrontare il presidente statunitense John F. Kennedy (1917-63) e il segretario generale sovietico Nikita Krusciov (1894-1971) durante la crisi dei missili di Cuba nel 1962, ma con assai meno opportunità di ponderare le varie opzioni.
Ripensando alle lezioni tratte da quella crisi, che scosse profondamente il mondo, Kennedy una volta disse che «le potenze nucleari devono evitare questi scontri che portano l’avversario a dover scegliere fra una ritirata umiliante e una guerra nucleare».73 Le sue parole riflettono quanto di stretta misura si fosse scampato il disastro e quanto egli si rammaricasse che la situazione si fosse deteriorata fino a quel punto. E in quel caso entrambi i leader ebbero tredici giorni per decidere. Se questa ricerca di una velocità sempre maggiore proseguisse, la crescente pressione di venire sopraffatti dall’avversario lascerebbe molto meno tempo per prendere decisioni basate su un’attenta riflessione.
Secondo il rapporto Sipri, «la ricerca di armi sempre più veloci, più intelligenti, più accurate e versatili potrebbe condurre a una destabilizzante corsa agli armamenti».74 Sono fortemente convinto che, lungi dall’impedire una guerra nucleare, l’applicazione dell’intelligenza artificiale alle armi nucleari possa solo incoraggiarne l’uso preventivo.
Ritengo che, come afferma il suo preambolo, lo spirito del Trattato di non proliferazione nucleare risieda nell’impegno di compiere ogni sforzo possibile per evitare una guerra nucleare. Per andare avanti è cruciale che tutti gli Stati parti facciano di questo spirito il loro fondamento comune utilizzando il dibattito sugli attacchi informatici e sull’impiego dell’intelligenza artificiale come occasione per interrogarsi sul significato di continuare a basarsi sulle armi nucleari nelle loro dottrine di sicurezza.
Rendere visibile l’invisibile
La mia terza proposta riguarda il cambiamento climatico e la riduzione del rischio da disastri (Disaster Risk Reduction, Drr).
Le risposte necessarie al cambiamento climatico non si limitano alla riduzione dei gas serra; vi è urgente bisogno anche di misure per limitare i danni arrecati, per esempio, dagli eventi meteorologici estremi. Questi sono stati i temi principali discussi alla Conferenza Onu sul cambiamento climatico (Cop 25) che si è tenuta a Madrid il mese scorso.
Secondo un rapporto rilasciato da Oxfam prima della Cop 25, i disastri legati al clima sono quintuplicati nell’ultimo decennio. In tutto il mondo ci sono molte più persone sfollate per cause legate al cambiamento climatico che per catastrofi naturali come i terremoti o per conflitti armati.75
Propongo di organizzare in Giappone una conferenza Onu sul cambiamento climatico e la riduzione del rischio da disastri.
Dal 2007 l’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio da disastri (Un Office for Disaster Risk Reduction, Undrr) organizza la Piattaforma globale per la riduzione del rischio da disastri. A questo forum, in origine a cadenza biennale, partecipano funzionari governativi e rappresentanti della società civile; nel 2015 il forum si è tenuto nell’ambito della Terza conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla riduzione del rischio da disastri di Sendai, in Giappone. La sessione più recente della Piattaforma globale (Gp2019), che si è tenuta a Ginevra nel maggio scorso, ha visto più di 4.000 partecipanti da 182 paesi.76 Adesso la Piattaforma globale si terrà ogni tre anni e la prossima è prevista nel 2022. Suggerisco di organizzarla in Giappone e renderla l’occasione di attente riflessioni sulla riduzione del rischio da disastri in relazione agli eventi climatici estremi e alle difficoltà inerenti alle operazioni di ricostruzione.
Nel 2015 la Terza conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulla Riduzione del rischio da disastri ha adottato il Protocollo di Sendai, che comprende molti obiettivi fra i quali la riduzione sostanziale del numero di persone colpite da catastrofi naturali entro il 2030. Per realizzare tali obiettivi è necessario che i paesi facciano tesoro delle rispettive esperienze per rafforzare le misure di riduzione dei rischi dovuti alle catastrofi causate da eventi climatici estremi.
Nel settembre 2019, su iniziativa dell’India, è stata istituita la Coalizione per le infrastrutture resilienti ai disastri. Questo partenariato internazionale servirà a rafforzare il coordinamento per il supporto tecnico e il potenziamento delle capacità di realizzare infrastrutture resilienti non solo agli eventi sismici, che costituiscono un tema cruciale da molto tempo, ma anche agli effetti del cambiamento climatico. Il Giappone, che negli ultimi anni ha subito sempre di più catastrofi provocate dal clima, ha aderito alla coalizione. Propongo che in seno alla Piattaforma globale il Giappone si assuma il compito di coordinare l’elaborazione di alcune linee guida su questo tema, in collaborazione con l’India e gli altri Stati della coalizione.
Desidero inoltre suggerire che uno dei temi centrali della prossima Piattaforma globale sia il ruolo dei governi locali di fronte ai disastri provocati dal clima e che l’incontro sia un’occasione per formare alleanze fra municipalità. Attualmente circa 43.000 comuni nel mondo, tra i quali tutti quelli della Mongolia e del Bangladesh,77 hanno firmato la campagna dell’Undrr “Rendere le città resilienti”.78 La campagna è iniziata ormai da dieci anni e ritengo importante che le municipalità continuino a rafforzare il coordinamento fra loro ponendo sempre più l’accento sulla gestione dei rischi provocati da eventi climatici estremi.
Circa il 40 per cento della popolazione mondiale vive a non più di 100 chilometri dalla costa79 ed è quindi soggetta ai rischi derivanti da disastri di origine climatica. Anche la maggior parte dei giapponesi vive in aree costiere, perciò sarebbe prezioso che le municipalità delle aree costiere del Giappone e di altri paesi asiatici, come la Cina e la Corea del Sud, condividessero esperienze e buone pratiche legate al cambiamento climatico e alla riduzione del rischio da disastri, generando così sinergie che comporterebbero benefici per tutta l’Asia.
Quest’anno a giugno si terrà in Australia la Conferenza ministeriale della regione Asia-Pacifico sulla riduzione del rischio da disastri; auspico che costituisca l’occasione per discutere approfonditamente del rafforzamento della collaborazione fra municipalità fino a diventare un’iniziativa mondiale grazie alla Piattaforma globale 2022.
Oltre ai temi citati, spero che nell’incontro del 2022 si discuta anzitutto delle modalità per costruire una società inclusiva in cui non siano lasciate indietro le persone maggiormente colpite dalle catastrofi climatiche.
La Piattaforma globale 2019 di Ginevra si è concentrata specialmente sulla promozione della parità di genere e dell’inclusione sociale. Metà di coloro che hanno parlato nelle varie tavole rotonde e il 40 per cento dei partecipanti erano donne. Erano inoltre presenti più di 120 persone con disabilità.80 Riguardo all’inclusività nei processi di ripresa dopo i disastri, uno dei portavoce dell’Onu per gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile, il sudafricano Edward Ndopu, ha detto: «Le persone disabili costituiscono il più vasto gruppo di minoranza del mondo – circa il 15 per cento della popolazione globale – eppure vengono sistematicamente dimenticate. […] Sussiste un legame fra l’atto fisico di lasciare indietro le persone con disabilità e le implicazioni sociali concrete dell’esclusione per la loro vita quotidiana».81
Ndopu, al quale fu diagnosticata un’atrofia muscolare spinale all’età di due anni, ha ribadito anche la necessità di trasformare, in caso di disastro, l’atteggiamento collettivo nei confronti delle persone più a rischio. Credo che questo punto debba essere parte integrante di ogni iniziativa per aumentare la resilienza e condizione essenziale per gestire sia le fasi che precedono un disastro sia quelle della ripresa. Solo promuovendo un senso di vita condivisa e rafforzando il tessuto di interconnessioni nella vita quotidiana si può sviluppare la capacità di proteggere la vita e la dignità delle persone, a partire dagli esordi di un disastro fino al termine del processo di ripresa.
In una sessione della Piattaforma globale 2019, in cui si è discusso di una riduzione del rischio da disastri rispettosa delle differenze di genere e diretta al potenziamento della resilienza, è emersa l’idea chiave che «nei disastri è importante rendere visibile l’invisibile».82 Poiché le circostanze in cui molte di esse vivono quotidianamente vengono spesso celate da norme sociali e atteggiamenti discriminatori, le donne corrono maggiormente il rischio di essere lasciate indietro nel momento in cui hanno più bisogno di assistenza.
Quando eventi meteorologici estremi o imprevisti rendono necessaria un’evacuazione, spesso le donne sono le ultime a partire perché rimangono a casa a prendersi cura dei bambini e dei parenti anziani o malati, specialmente nei casi in cui i maschi della famiglia si trovano altrove alla ricerca di una fonte di reddito. D’altro canto è innegabile che all’indomani dei disastri le donne rappresentino un’immensa sorgente di forza, per il sostegno e le cure che prestano ai membri delle loro comunità.
Un Women ha sottolineato che i contributi effettivi e potenziali delle donne alla riduzione del rischio da disastri – dalla capacità di coordinare i soccorsi immediati alla costruzione di resilienza nella comunità – sono un patrimonio sociale che rimane largamente inutilizzato.
Quando penso ai fattori strutturali che tendono a oscurare la consapevolezza di persone o cose che in realtà esistono senza ombra di dubbio, mi torna in mente un’analogia contenuta in un sutra mahayana: nonostante in cielo vi siano innumerevoli stelle, ognuna delle quali emana la sua specifica luce, durante il giorno non ce ne rendiamo conto perché c’è la luce del sole.
Sia nella vita normale sia quando si verifica un disastro, le donne svolgono un ruolo cruciale creando reti di mutuo sostegno nelle comunità in cui vivono. Tener conto della loro voce in ogni passo del processo di elaborazione delle misure per gestire i disastri – sia quelli geografici come i terremoti sia quelli dovuti a eventi meteorologici estremi – è la chiave per costruire comunità resilienti ai disastri.
Quest’anno cade il venticinquesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione e piattaforma d’azione di Pechino, elaborata nel corso della Quarta conferenza mondiale sulle donne, che racchiude precise linee guida per la parità di genere. In essa si afferma: «Il progresso delle donne e il raggiungimento della parità fra donne e uomini è una questione di diritti umani e una condizione per la giustizia sociale, e non dovrebbe essere considerata una faccenda isolata che riguarda solo le donne. È l’unico modo di costruire una società avanzata equa e sostenibile».83
Lo spirito della parità di genere è essenziale anche nel campo della riduzione del rischio da disastri. In tale contesto, o in caso di eventi meteorologici estremi derivanti dal cambiamento climatico, le misure per rafforzare la resilienza devono andare oltre il miglioramento delle infrastrutture fisiche. Perciò sono fermamente convinto che nell’opera di costruzione di comunità resilienti non dobbiamo impegnarci soltanto a garantire che la parità di genere diventi realtà, ma anche a dare la priorità a coloro che tendiamo a trascurare e a lasciare indietro nella vita quotidiana.
Nel corso degli anni, come organizzazione basata sulla fede (Faith-Based Organization, Fbo), la Sgi ha partecipato regolarmente alle conferenze internazionali sulla riduzione del rischio da disastri fra cui la Piattaforma globale, e si è impegnata attivamente nelle operazioni di soccorso e di ricostruzione. Nel 2017 ha contribuito a organizzare un evento in occasione della Piattaforma globale di Cancun, in Messico, dal titolo “Riduzione del rischio da disastri gestita a livello locale dalle Organizzazioni basate sulla fede. Applicare il Protocollo di Sendai”. In tale occasione la Sgi ha firmato una dichiarazione congiunta con cristiani, musulmani e membri di altre organizzazioni basate sulla fede.84 Una dichiarazione simile è stata presentata alla Piattaforma globale 2019 di Ginevra.85
Nel marzo 2018 la Sgi, insieme ad altre quattro organizzazioni basate sulla fede, ha formato la Coalizione basata sulla fede per lo sviluppo sostenibile della regione Asia-Pacifico (Asia Pacific Faith-Based Coalition for Sustainable Development, Apfc), che nel luglio dello stesso anno ha sottoposto un documento alla Conferenza ministeriale asiatica per la riduzione del rischio da disastri di Ulan Bator, in Mongolia. Nella dichiarazione veniva enunciata la seguente determinazione: «Alla base della missione delle Fbo vi è la volontà di affrontare le cause profonde delle vulnerabilità e portare speranza e benessere alle comunità ai margini della società. […] I gruppi basati sulla fede svolgono un ruolo cruciale a livello locale nella riduzione del rischio, nella costruzione di resilienza e nell’azione umanitaria».86
La Sgi condivide questo spirito con la comunità delle Fbo e continuerà a sostenere gli sforzi per incrementare la resilienza, animata dalla visione di una società inclusiva nella quale sia rispettata la dignità di tutte le persone.
Educazione per i bambini e le bambine nelle zone di crisi
L’ultima delle mie proposte riguarda il rafforzamento del sostegno ai bambini e ai giovani che vengono privati di opportunità educative a causa di conflitti armati o di disastri naturali. Ritengo che proteggere i diritti umani e lo sviluppo della prossima generazione sia la base per la realizzazione di una società globale sostenibile.
A settembre la Convenzione per i diritti dell’infanzia celebra il suo trentesimo anno dall’entrata in vigore. Vi aderiscono 196 Stati – un numero ben maggiore dei membri dell’Onu – ed è il trattato sui diritti umani universali più ampiamente ratificato. La convenzione sancisce l’obbligo per i governi di garantire il diritto all’educazione di tutti i bambini e tutte le bambine, e in effetti la percentuale di bambini non scolarizzati nella fascia della scuola primaria è diminuita dal 20 per cento nel 1990 a meno del 10 per cento nel 2019.87 Nonostante questo progresso, milioni di bambini e di giovani che vivono in paesi colpiti da conflitti e disastri subiscono ancora gravi svantaggi educativi.
Nello Yemen, devastato da una lunga guerra, due milioni e 400 mila bambini e bambine in età scolare sono privati dell’istruzione.88 Le infrastrutture scolastiche sono state bombardate e gravemente danneggiate, e spesso gli edifici vengono usati come basi militari o rifugi per i civili. In Bangladesh, che è stato ripetutamente colpito da disastri ambientali aggravati dalla crisi climatica, moltissime famiglie sono sfollate e vivono in povertà. Ciò determina grande preoccupazione per la salute dei bambini e delle bambine, che hanno sempre più difficoltà ad accedere a un’istruzione.
A livello globale più di 104 milioni di bambini e giovani sono attualmente privi di opportunità educative a causa di conflitti o disastri,89 eppure meno del 2 per cento dei fondi umanitari viene impiegato in questo senso.90 Nelle attività di soccorso si ritiene che l’educazione rivesta meno importanza dell’assistenza alimentare e medica, necessarie per la sopravvivenza. E anche dopo l’inizio della fase di ricostruzione, questa è sempre una delle ultime aree a ricevere attenzione.
Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) sottolinea il ruolo delle scuole per offrire a bambini e bambine luoghi in cui ristabilire la propria vita quotidiana. Trascorrere il tempo con gli amici a scuola costituisce un sostegno psicologico importante per iniziare a guarire dalle esperienze traumatiche dovute alla crescita in zone colpite da conflitti o disastri.
In questo contesto opera un nuovo fondo globale chiamato “L’educazione non può aspettare” (Education Cannot Wait, Ecw), istituito durante il Summit umanitario mondiale del 2016 e ospitato dall’Unicef. È la prima iniziativa di questo genere dedicata all’istruzione in caso di emergenze e crisi prolungate, e ha già raggiunto più di un milione e 900 mila bambini che vivono emergenze umanitarie, fornendo loro opportunità educative.91 È un primo passo per far sì che i giovani colpiti dalle crisi possano riconquistare un senso di sicurezza e di speranza e continuare ad andare incontro al futuro con i propri sogni nel cuore, ed è anche una risorsa essenziale per portare pace e stabilità alle varie comunità e alla società intera.
Yasmine Sherif, la direttrice di Ecw, spiega: «Com’è possibile costruire una società sana dal punto di vista socio-economico se i cittadini e i rifugiati che vi appartengono non sanno leggere o scrivere, non sanno pensare criticamente, non hanno insegnanti, avvocati, dottori? […] L’educazione è la chiave per promuovere pace, tolleranza e rispetto reciproco. La probabilità di violenza e conflitti si riduce del 37 per cento quando ragazze e ragazzi hanno uguale accesso all’istruzione».92
Uno degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile è assicurare a tutte le bambine e a tutti i bambini un’educazione completa e di qualità. È inaccettabile che bambini e giovani che vivono in zone di conflitto o che hanno subìto un disastro siano lasciati indietro e diventino una «generazione perduta».
Nel 2016, l’anno in cui è stato istituito il fondo Ecw, si stimava che per fornire un pacchetto educativo di base a circa 75 milioni di bambini che vivevano questo tipo di emergenze occorressero annualmente 8 miliardi e mezzo di dollari, pari a 113 dollari all’anno per ogni bambino.93 Da allora il numero di bambini bisognosi è aumentato a 104 milioni,94 ma basterebbe reindirizzare una piccola frazione della spesa militare globale, che ammonta a 1.800 miliardi di dollari annui,95 per offrire un sostegno internazionale all’istruzione che permetterebbe a milioni di giovani in condizioni difficili di sperare di nuovo nella vita.
Esorto la comunità internazionale a rafforzare le basi finanziarie di Ecw per aumentare le opportunità educative durante le emergenze. Rappresenterebbe un contributo importante per una società globale sostenibile in cui ognuno possa vivere con dignità e sicurezza.
Nella mia Proposta di pace del 2009 chiedevo l’espansione di strumenti di finanziamento innovativi come l’imposta internazionale di solidarietà, allo scopo di accelerare il processo di raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite. Adesso che stiamo cercando di realizzare gli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile occorre raddoppiare gli sforzi ed esplorare misure addizionali per raccogliere fondi mirati a questo scopo, fra cui l’istituzione di una tassa di solidarietà internazionale dedicata all’educazione.
L’imposta di solidarietà sui biglietti aerei adottata in Francia e in altri paesi viene impiegata come fonte di finanziamento per sostenere le persone affette da malattie infettive come l’Hiv/Aids, la tubercolosi e la malaria nei paesi in via di sviluppo. Fra i metodi di finanziamento innovativi c’è anche Unitlife, istituito cinque anni fa per combattere la malnutrizione infantile cronica.
La Riunione ministeriale del G7 per lo sviluppo tenutasi nel luglio 2019 in Giappone – il paese che presiedeva il Gruppo pilota sul finanziamento innovativo per lo sviluppo (Leading Group on Innovative Financing for Development) – ha affrontato la necessità di metodi di finanziamento innovativi come le tasse di solidarietà internazionali per favorire lo sviluppo. In collaborazione con l’Unicef, il Giappone ha distribuito libri di testo a 100 mila alunni delle scuole elementari, e materiale e zaini scolastici a 62 mila bambini nella Siria devastata dalla guerra.96 E in Afghanistan, dove si è verificata una penuria di aiuti umanitari, ha finanziato la costruzione di 70 scuole, che hanno permesso a 50 mila bambini di studiare in un ambiente educativo adeguato.97
Invito il Giappone a impiegare la sua vasta esperienza nel sostegno allo sviluppo educativo all’estero assumendo un ruolo attivo nel rafforzare le basi finanziarie di Ecw e promuovendo il dibattito su nuove piattaforme che possano aumentare la disponibilità di fondi internazionali di solidarietà per l’educazione.
Vorrei citare un episodio riportato dall’Unhcr, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, che riguarda la speranza che si può infondere nel cuore delle famiglie sfollate offrendo loro la possibilità di far studiare i figli nel luogo in cui hanno trovato asilo. Una giovane madre con due figli fu costretta a scappare dal Nicaragua a causa di gravi disordini sociali e politici. La decisione di togliere il figlio e la figlia dalla scuola e trasferirsi nel vicino Costa Rica era dolorosa, ma i pericoli ai quali andavano incontro non le lasciavano altra scelta. Persino recuperare i voti e i certificati scolastici dei bambini fu un’impresa rischiosa e la famiglia riuscì a malapena a lasciare il Nicaragua con un’unica piccola valigia. Ciò che preoccupava di più la madre era che i figli non riuscissero ad andare a scuola nel nuovo paese.
Per fortuna scoprì che in Costa Rica la scuola primaria è gratuita e garantita a tutti i bambini. Inoltre molte scuole del nord del paese stavano cercando di andare incontro alle famiglie sfollate semplificando le regole, in modo che anche bambini privi di documenti ufficiali potessero iscriversi a scuola. E siccome molti di loro non avevano potuto frequentare per un certo periodo, diverse scuole offrivano corsi di recupero per aiutarli a rimettersi in pari. Così, grazie a questo sistema, i suoi figli poterono tornare a scuola.
Ora il ragazzo, di quattordici anni, manifestando la sua grande gioia per aver potuto ricominciare a studiare ha espresso il sogno di diventare un dottore. E ogni giorno, con la sorella di dieci anni, si recano felici a scuola tenendosi per mano. Come ha spiegato uno degli insegnanti, lo scopo è aiutare i bambini costretti a lasciare la loro patria a «sentirsi a casa» dentro le mura della scuola.98
Dietro la cifra impressionante di 104 milioni di bambini in età scolare ai quali viene negata l’istruzione a causa di emergenze umanitarie, ci sono individui che hanno ognuno la propria storia. Garantire a questi bambini e bambine pari opportunità educative consentirà loro di ritrovare la speranza di realizzare i loro scopi nella vita.
L’educazione costituisce uno dei tre pilastri – insieme alla pace e alla cultura – attorno ai quali ruota l’impegno a livello sociale della Sgi in 192 paesi e territori, le cui attività mirano a promuovere l’empowerment delle persone, con le persone e per le persone.
Lo spirito che anima il nostro movimento è simboleggiato chiaramente da un disegno sulla copertina del libro Soka kyoikugaku taikei (Il sistema pedagogico per la creazione di valore, parzialmente tradotto in italiano come L’educazione creativa), pubblicato novant’anni fa (il 18 novembre 1930) dai presidenti fondatori della Soka Gakkai Makiguchi e Toda, due educatori uniti dal legame di maestro e discepolo. Il disegno raffigura una lampada a olio la cui luce rischiara l’oscurità circostante.
In occasione di sconvolgimenti sociali e gravi minacce, sono sempre i bambini e i giovani a farne le spese. Makiguchi era profondamente angustiato nel toccare con mano una situazione simile e decise di dedicarsi all’insegnamento nella scuola elementare, che rappresenta la prima linea dell’istruzione. Mentre cercava con tutto se stesso di accendere una luce di speranza nel cuore dei suoi giovani allievi, proseguiva la sua ricerca di un metodo educativo umanistico che aiutasse le persone a sviluppare le proprie capacità di creare felicità. I suoi sforzi culminarono nell’opera che ho citato, Il sistema pedagogico per la creazione di valore.
Durante la guerra russo-giapponese (1904-1905) Makiguchi aveva una trentina d’anni e profuse tutte le proprie energie nell’educazione delle bambine e delle donne, un campo in cui in Giappone sussistevano gravi lacune. Infatti molte famiglie versavano in difficoltà finanziarie, spesso il capofamiglia era morto, ferito o malato a causa della guerra. Così Makiguchi istituì un programma di borse di studio in modo che gli alunni di queste famiglie potessero frequentare gratuitamente o pagando metà della retta.
Dai quarant’anni fu preside di una scuola elementare creata appositamente per le famiglie meno privilegiate, e in quel periodo andava a trovare i bambini malati e si prendeva cura di loro, organizzando anche mense scolastiche per i bambini denutriti. Sicuramente ciò che spingeva Makiguchi a darsi tanto da fare per aiutare i suoi allievi era la sua stessa dolorosa esperienza di essere stato privato della possibilità di studiare a causa delle difficoltà familiari.
Quando nel 1923 ci fu il grande terremoto del Kanto, che devastò l’area metropolitana di Tokyo, Makiguchi aveva una cinquantina d’anni. Molti bambini furono costretti a trasferirsi in nuove scuole ed egli li accolse in quella di cui era preside, fornendo loro il materiale scolastico necessario. Era così preoccupato delle condizioni dei suoi ex alunni che visitò i dintorni delle varie scuole dove aveva insegnato in precedenza per assicurarsi che stessero bene.
Allo stesso modo il suo discepolo più stretto, Josei Toda, in mezzo alle ristrettezze del tempo di guerra pubblicò fra il 1940 e il 1942 trentacinque numeri di riviste educative per ragazzi. Il suo desiderio sincero della felicità e del benessere dei bambini non venne mai meno, neanche dopo che fu incarcerato insieme a Makiguchi con l’accusa di aver violato le leggi imposte dal governo militare per limitare la libertà di pensiero e parola.
Makiguchi morì in carcere. Toda non si fece scoraggiare dai due anni di prigionia, che terminarono esattamente un mese prima della fine della seconda guerra mondiale. Quando fu rilasciato, la prima cosa che fece fu avviare un corso per corrispondenza per bambini. Nel caos del dopoguerra molte scuole ancora non funzionavano a pieno ritmo ed egli si adoperò affinché non cessasse la possibilità di ricevere un’istruzione.
Come dimostra ampiamente la loro storia, nel cuore dei due presidenti fondatori della Soka Gakkai ardeva la determinazione di mantenere viva la luce dell’educazione per tutti i bambini indipendentemente dalle circostanze. La data di pubblicazione del Sistema pedagogico per la creazione di valore viene celebrata come giorno di fondazione della Soka Gakkai e credo che quel disegno della lampada a olio rappresenti pienamente il loro solenne impegno concreto. Come ci suggerisce quella lanterna, la fiamma dell’educazione richiede di essere costantemente alimentata e la sua luce rimane viva grazie a coloro che riversano in essa la loro passione e al sostegno che la società offre ai loro sforzi.
Raccogliendo la fiaccola che ho ereditato dai miei predecessori ho realizzato una rete di istituti educativi in vari paesi, fra cui le scuole elementari e superiori Soka a Tokyo e Osaka, l’Università Soka in Giappone, la Soka University of America, e anche varie scuole Soka in Brasile. Ho dialogato con educatori di tutto il mondo e lavoro da più di mezzo secolo per costruire una società che soddisfi i bisogni educativi e garantisca la dignità e la felicità dei bambini e delle bambine, adesso e nel futuro.
Per far crescere la consapevolezza dell’importanza di costruire una società che soddisfi le necessità dell’educazione, la Sgi si dedica a promuovere l’empowerment delle persone, con le persone e per le persone
Note
1) Onu: “Summit di azione sul clima 2019”, Comunicato conclusivo, 23 settembre 2019, https://www.un.org/en/climatechange/assets/pdf/CAS_closing_release.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
2) António Guterres, “Remarks on Climate Change” (Osservazioni sul cambiamento climatico), 10 settembre 2018, https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2018-09-10/remarks-climate-change (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
3) Istituto Toda per la pace, “Climate Change, Migration and Land in Oceania” (Cambiamento climatico, migrazione e terra in Oceania), Policy Brief n. 37, di John R. Campbell, aprile 2019, https://toda.org/assets/files/resources/policy-briefs/t-pb-37_john-campbell_climate-change-migration-and-land-in-oceania.pdf, p. 4 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
4) Antoine de Saint-Exupéry, Wind, Sand and Stars, trad. di Lewis Galantière, Harcourt Inc., Orlando, Austin, New York, San Diego e Londra, 1992, p. 27. Edizione italiana: Antoine de Saint-Exupéry, Vento, sabbia e stelle, trad. di C. Mutti, Nuova editrice Berti, 2016.
5) António Guterres, “Address to the 74th Session of the Un General Assembly” (Discorso alla settantaquattresima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu), 24 settembre 2019, https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2019-09-24/address-74th-general-assembly (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
6) Tsunesaburo Makiguchi, Makiguchi Tsunesaburo zenshu (Opere complete di Tsunesaburo Makiguchi), Daisanbunmei-sha, Tokyo, 1981-97, vol. 2, p. 397.
7) Ibidem, vol. 1, p. 13.
8) Ibidem, vol. 2, p. 399.
9) Cfr. Fmi (Fondo monetario internazionale), 2019, “Real GDP Growth” (La crescita reale del Pil), https://www.imf.org/external/datamapper/NGDP_RPCH@WEO/WEOWORLD (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
10) Cfr. Future Earth, “Global Carbon Dioxide Emissions Set to Rise After Three Stable Years” (Dopo tre anni di stabilità le emissioni globali di anidride carbonica sono destinate a salire), Comunicato stampa, 13 novembre 2017, https://www.globalcarbonproject.org/carbonbudget/archive/2017/International_FutureEarth_GCPBudget2017.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
11) Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo, Poor Economics: A Radical Rethinking of the Way to Fight Global Poverty, PublicAffairs, New York, 2011, p. ix. Edizione italiana: Abhijit V. Banerjee e Esther Duflo, L’economia dei poveri. Capire la vera natura della povertà per combatterla, Feltrinelli, 2012.
12) Ibidem, p. 70.
13) Ibidem, p. 138.
14) Hajime Nakamura, Budda no kotoba: Suttanipata (Parole del Budda: Suttanipāta), Iwanami Shoten, Tokyo, 1984, pp. 135-136.
15) Cfr. Daisaku Ikeda e Anwarul K. Chowdhury, Atarashiki chikyushakai no sozo e: Heiwa no bunka to kokuren o kataru (Verso una nuova società globale: un dialogo sulla cultura di pace e le Nazioni Unite), Ushio Shuppan-sha, Tokyo, 2011, p. 265.
16) Ibidem, p. 281.
17) Josei Toda, Toda Josei zenshu (Opere complete di Josei Toda), Tokyo, Seikyo Shimbunsha, 1981-90. vol. 4, p. 62.
18) Dag Hammarskjöld, “Remarks at United Nations Day Concert” (Osservazioni in occasione del concerto per il giorno delle Nazioni Unite), 24 ottobre 1960, https://www.un.org/Depts/dhl/dag/undayconcert.htm (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
19) Ibidem.
20) Cfr. Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), “Sintesi per i responsabili politici”, in “Special report: Global Warming of 1.5°C” (Rapporto speciale sul riscaldamento globale di 1,5°C), 2018, https://www.ipcc.ch/sr15/chapter/spm/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
21) Cfr. Daisaku Ikeda e Elise Boulding, Into Full Flower: Making Peace Cultures Happen, Dialogue Path Press, Cambridge, Massachusetts, 2010, p. 92.
22) Hajime Nakamura, Shakuson no shogai (La vita di Shakyamuni), Heibonsha, Tokyo, 2003, p. 57.
23) Karl Jaspers, Socrates, Buddha, Confucius, Jesus: The Paradigmatic Individuals, trad. di Ralph Manheim, Harcourt Brace & Co., San Diego, New York e Londra, 1962, p. 26. Edizione italiana: Karl Jaspers, Socrate, Buddha, Confucio, Gesù. Le personalità decisive, trad. di F. Costa, Fazi, 2013.
24) Nichiren Daishonin, Raccolta degli insegnamenti orali, BS, 123, 53.
25) Ibidem, BS, 114, 45.
26) Cfr. Plant for the Planet “Trillion Tree Campaign” (Campagna per mille miliardi di alberi), 2020, https://www.trilliontreecampaign.org/faq (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
27) António Guterres, “Secretary-General’s Remarks at Closing of Climate Action Summit” (Osservazioni del segretario generale al termine del Summit di azione sul clima), 23 settembre 2019, https://www.un.org/sg/en/content/sg/statement/2019-09-23/secretary-generals-remarks-closing-of-climate-action-summit-delivered (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
28) Marianne Schnall, “Conversation with Wangari Maathai” (Conversazione con Wangari Maathai), 9 dicembre 2008, https://www.feminist.com/resources/artspeech/interviews/wangarimaathai.html (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
29) Onu, “Un to Launch Biggest-ever Global Conversation on the World’s Future to Mark Its 75th Anniversary in 2020” (L’Onu dà il via alla più vasta conversazione globale sul futuro del mondo in occasione del suo settantacinquesimo anniversario nel 2020), 24 ottobre 2019, https://www.un.org/en/un75/news-events (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
30) Cfr. “Remarks to the General Assembly on the Secretary-General’s Priorities for 2020” (Osservazioni all’Assemblea generale sulle priorità del segretario generale per il 2020), 22 gennaio 2020, https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2020-01-22/remarks-general-assembly-priorities-for-2020 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
31) Un News Centre, “At Un, Youth Activists Press for Bold Action on Climate Emergency, Vow to Hold Leaders Accountable at the Ballot Box”, 21 settembre 2019, https://news.un.org/en/story/2019/09/1046962 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
32) Global Climate Strike, “7.6 Million People Demand Action After Week of Climate Strikes” (Dopo una settimana di scioperi per il clima 7,6 milioni di persone chiedono azioni concrete), 28 settembre 2019, https://globalclimatestrike.net/7-million-people-demand-action-after-week-of-climate-strikes/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
33) Science Focus, “Christiana Figueres on Climate Change: Net Zero Carbon is Our Only Option” (Christiana Figueres sul cambiamento climatico: la nostra unica opzione è azzerare le emissioni di carbonio), intervista di Jason Goodyer, BBC Science Focus Magazine, 2 ottobre 2019, https://www.sciencefocus.com/planet-earth/christiana-figueres-on-climate-change-net-zero-carbon-is-our-only-option/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
34) Christiana Figueres, “Datsutansoka eno itsutsu no gensoku” (Cinque princìpi per la riduzione delle emissioni di carbonio), Seikyo Shimbun, 4 aprile 2019, p. 2.
35) Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente), “Higher and Further Education Institutions Across the Globe Declare Climate Emergency” (Gli istituti universitari e post-universitari di tutto il mondo dichiarano l’emergenza climatica), Comunicato stampa, 10 luglio 2019, https://www.unenvironment.org/news-and-stories/press-release/higher-and-further-education-institutions-across-globe-declare (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
36) Cfr. Patto dei sindaci per il clima e l’energia, 2020, “About Us”, https://www.globalcovenantofmayors.org/about/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
37) Un News Centre, “At Un, Youth Activists Press for Bold Action on Climate Emergency, Vow to Hold Leaders Accountable at the Ballot Box”, op. cit.
38) Aurelio Peccei, One Hundred Pages for the Future: Reflections of the President of The Club of Rome, Pergamon Press, Oxford, 1981, p. 178. Edizione italiana: Aurelio Peccei, Cento pagine per l’avvenire, Giunti, 2018.
39) Aurelio Peccei. The Human Quality, Pergamon Press, Oxford, 1977, p. 13. Edizione italiana: Aurelio Peccei, La qualità umana, Castelvecchi, 2014.
40) Ibidem, p. 67.
41) Ibidem, p. 101.
42) Daisaku Ikeda e Aurelio Peccei, Campanello d’allarme per il XXI secolo, Bompiani, Milano, 1985, p. 141.
43) Cfr. Club di Roma e Istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam, “Planetary Emergency Plan: Securing a New Deal for People, Nature and Climate” (Piano di emergenza planetaria: un nuovo patto per le persone, la natura e il clima), 23 settembre 2019, https://www.clubofrome.org/wp-content/uploads/2019/09/PlanetaryEmergencyPlan_CoR-4.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
44) Assemblea generale dell’Onu, “Political Declaration of the High-level Political Forum on Sustainable Development Convened under the Auspices of the General Assembly” (Dichiarazione politica del forum di alto livello sullo sviluppo sostenibile tenutosi sotto gli auspici dell’Assemblea generale), A/HLPF/2019/L.1., 24 e 25 settembre 2019, https://undocs.org/en/A/HLPF/2019/l.1 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
45) Greta Thunberg, “Trascrizione del discorso completo di Greta Thunberg all’Onu in occasione di Cop25”, 11 dicembre 2019, https://www.express.co.uk/news/science/1216452/Greta-Thunberg-UN-speech-full-COP25-Greta-Thunberg-speech-transcript-climate-change (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
46) Onu 2020, Treaty Collection, Status of Treaties, Tpnw, 26 gennaio 2020, https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=XXVI-9&chapter=26&clang=_en (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
47) Reuters, “Risk of Nuclear War Now Highest Since Ww2, Un Arms Research Chief Says” (Il rischio di una guerra nucleare non è mai stato così alto dalla seconda guerra mondiale), di Tom Miles, 21 maggio 2019, https://www.reuters.com/article/us-un-nuclear/risk-of-nuclear-war-now-highest-since-ww2-u-n-arms-research-chief-says-idUSKCN1SR24H (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
48) Assemblea generale dell’Onu, “Trattato per la proibizione delle armi nucleari”, A/CONF.229/2017/8, adottato dall’Assemblea generale, 7 luglio 2017, https://undocs.org/A/CONF.229/2017/8 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
49) António Guterres, “Remarks at the University of Geneva on the Launch of the Disarmament Agenda” (Osservazioni all’Università di Ginevra sul varo dell’Agenda per il disarmo), 24 maggio 2018, https://www.un.org/sg/en/content/sg/speeches/2018-05-24/launch-disarmament-agenda-remarks (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
50) Merav Datan e Jürgen Scheffran, “The Treaty is Out of the Bottle: The Power and Logic of Nuclear Disarmament” (Il Trattato non si può fermare: il potere e la logica del disarmo nucleare), Journal for Peace and Nuclear Disarmament 2, issue 1 (2019), pp.114-132. doi: 10.1080/25751654.2019.1584942.
51) Ibidem.
52) Norwegian People’s Aid, “Nuclear Weapons Ban Monitor 2019: Tracking Progress towards a World Free of Nuclear Weapons” (Monitoraggio della messa al bando delle armi nucleari 2019; i progressi verso un mondo libero dalle armi nucleari), ottobre 2019, https://banmonitor.org/files/Nuclear_Weapons_Ban_Monitor_2019.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020), p. 4.
53) Cfr. Ican (Campagna internazionale per la messa al bando delle armi nucleari), 2020, “Ican Cities Appeal” (Appello delle città di Ican), https://cities.icanw.org/list_of_cities (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
54) Unoda (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari del disarmo), “Appeal of the Hibakusha: More Than 10,5 Million Signatures Supporting Call for the Elimination of Nuclear Weapons” (Appello degli hibakusha: più di 10,5 milioni di firme per l’eliminazione delle armi nucleari), 18 ottobre 2019, https://www.un.org/disarmament/update/the-handover-of-the-appeal-of-the-hibakusha-more-than-105-million-signatures-supporting-call-for-the-elimination-of-nuclear-weapons/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
55) Iccpr (Convenzione internazionale sui diritti civili e politici), “General Comment No. 36 (2018) on Article 6 of the International Covenant on Civil and Political Rights, on the Right to Life” (Commento generale n. 36 sull’articolo 6 della Iccpr sul diritto alla vita), Comitato dei diritti umani, 30 ottobre 2018, CCPR/C/GC/36, https://tbinternet.ohchr.org/Treaties/CCPR/Shared%20Documents/1_Global/CCPR_C_GC_36_8785_E.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020), par. 66.
56) Ibidem, par. 2.
57) Assemblea generale, “Trattato per la proibizione delle armi nucleari”, op. cit.
58) Cfr. Soka Gakkai Youth Division, Hiroshima and Nagasaki: That We Never Forget, Daisanbunmei-sha, Tokyo, 2017.
59) Icdsi (Independent Commission on Disarmament and Security Issues), Common Security: A Blueprint For Survival (Sicurezza comune: un progetto per la sopravvivenza), Simon & Schuster, New York, 1982, p. 139.
60) Daisaku Ikeda, Ikeda Daisaku zenshu (Opere complete di Daisaku Ikeda), Seikyo Shimbunsha, Tokyo, 1988-2015, vol. 1, p. 102.
61) Ronald Reagan, An American Life: The Autobiography, Simon and Schuster, New York, 1990, p. 267.
62) Ibidem, p. 595
63) American Presidency Project, “Joint Soviet-United States Statement on the Summit Meeting in Geneva”, 21 novembre 1985, https://www.presidency.ucsb.edu/documents/joint-soviet-united-states-statement-the-summit-meeting-geneva (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
64) António Guterres, “Securing Our Common Future: An Agenda for Disarmament”, 2018, https://front.un-arm.org/documents/SG+disarmament+agenda_1.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2019).
65) Izumi Nakamitsu, “Keynote Speech”, Second Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Science Diplomacy Symposium, High Level Session, Vienna, 25 maggio 2018, https://s3.amazonaws.com/unoda-web/wp-content/uploads/2018/05/HR-Keynote-CTBT-Science-Diplomacy-Session.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
66) Ufficio federale tedesco per gli affari esteri, “Political Declaration: Conference 2019. Capturing Technology. Rethinking Arms Control”, 15 marzo 2019, Berlino, Germania, https://rethinkingarmscontrol.de/wp-content/uploads/2019/03/2019.-Capturing-Technology.Rethinking-Arms-Control_-Political-Declaration.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020)
67) Assemblea generale dell’Onu, “Strengthening the Review Process for the Treaty: Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons. Draft decision proposed by the President”, NPT/CONF.1995/L.4, 10 maggio 1995, https://digitallibrary.un.org/record/188024 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
68) António Guterres, “Remarks at the University of Geneva on the Launch of the Disarmament Agenda”, op. cit.
69) Cfr. Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), “The Impact of Artificial Intelligence of Strategic Stability and Nuclear Risk, vol. 1: Euro-Atlantic Perspectives” (L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla stabilità strategica e il rischio nucleare, vol. 1: Prospettive euro-atlantiche), a c. di Vincent Boulanin, maggio 2019, https://www.sipri.org/sites/default/files/2019-05/sipri1905-ai-strategic-stability-nuclear-risk.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020), p.23.
70) Ibidem, p. 95.
71) Ibidem, pp. 19-20.
72) Ibidem, p. 51.
73) John F. Kennedy, “Commencement Address at American University, Washington, D.C.” (Discorso di apertura all’American University di Washington, D.C.), 10 giugno 1963, https://www.jfklibrary.org/archives/other-resources/john-f-kennedy-speeches/american-university-19630610 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
74) Sipri, The Impact of Artificial Intelligence, p. 121, op. cit.
75) Cfr. Oxfam International, “Climate Fuelled Disasters Number One Driver of Internal Displacement Globally Forcing More Than 20 Million People a Year from Their Homes”, Comunicato stampa, 2 dicembre 2019, https://www.oxfam.org/en/press-releases/forced-from-home-eng (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
76) Iisd (International Institute for Sustainable Development), “Summary of the Sixth Session of the Global Platform on Disaster Risk Reduction”, Undrr Bulletin 141, n.17 (20 maggio 2019).
77) Cfr. Undrr (Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio da disastri), “Bangladesh Joins Cities Campaign En Masse”, 2 luglio 2018, https://www.undrr.org/news/bangladesh-joins-cities-campaign-en-masse (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
78) Cfr. Undrr, “Making Cities Resilient: My City is Getting Ready”, 2019, https://www.unisdr.org/campaign/resilientcities/cities (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
79) Onu, The Ocean Conference, Factsheet: People and Oceans (La conferenza sull’oceano. Scheda informativa: persone e oceani), 2017, https://www.un.org/sustainabledevelopment/wp-content/uploads/2017/05/Ocean-fact-sheet-package.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
80) Iisd, “Summary of the Sixth Session of the Global Platform on Disaster Risk Reduction”, op. cit.
81) Gfdrr (Global Facility for Disaster Reduction and Recovery), 2019, “WRC4: Disaster Recovery for Persons with Disabilities”, Intervista a Edward (Eddie) Ndopu, 31 maggio 2019, https://www.youtube.com/watch?v=18ZoLIVqzB4 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
82) Un Women, “Promoting Women’s Leadership in Disaster Risk Reduction and Resilience”, 31 maggio 2019, https://www.unwomen.org/en/news/stories/2019/5/news-promoting-womens-leadership-in-disaster-risk-reduction-and-resilience (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
83) Un Women, “Beijing Declaration and Platform for Action” (Dichiarazione e piattaforma d’azione di Pechino), Quarta conferenza mondiale sulle donne, Pechino, 4-15 settembre 1995, documento finale, 15 settembre 1995, https://www.un.org/en/events/pastevents/pdfs/Beijing_Declaration_and_Platform_for_Action.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
84) Global Platform, “Public Joint Statement of Faith-based Organizations to Gp2017”, 23 maggio 2017, https://actalliance.org/wp-content/uploads/2017/05/170523-Interfaith-FBO-statement-Global-Platform-for-DRR-Final.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
85) Cfr. Fbo (Organizzazioni basate sulla fede), 2019, “Joint Faith-Based Organizations Statement for the Global Platform for Disaster Risk Reduction (Gpdrr)”, 13-17 maggio 2019, https://actalliance.org/wp-content/uploads/2019/05/Joint-FBOs-Statement-for-GPDRR-FINAL-with-logo-17052019.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
86) Apfc (Coalizione basata sulla fede della regione Asia-Pacifico), “Joint Faith Based Organizations’ Statement for the Asian Ministerial Conference on Disaster Risk Reduction”, 3-6 luglio 2018, https://www.unisdr.org/files/globalplatform/amcdrr2018officialstatementjointfbo[1].pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
87) Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), For Every Child, Every Right: The Convention on the Rights of the Child at a Crossroads, 2019, https://www.unicef.org/media/62371/file/Convention-rights-child-at-crossroads-2019.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020), p. 7.
88) Segreteria del Gpe (Global Partnership for Education), “Going Back to School in Yemen”, 7 gennaio 2019, https://www.globalpartnership.org/blog/going-back-school-yemen (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
89) Unicef, “1 in 3 Children and Young People Is Out of School in Countries Affected by War or Natural Disasters”, Comunicato stampa, 18 settembre 2018, https://www.unicef.org/press-releases/1-3-children-and-young-people-out-school-countries-affected-war-or-natural-disasters (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
90) Cfr. Ecw (Education Cannot Wait), “75 Million Crisis-affected Children are in Urgent Need of Education Support” , 2016, https://www.educationcannotwait.org/the-situation/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
91) Ecw, “Results Dashboard” (Pannello di controllo dei risultati), 3 dicembre 2019, https://s30755.pcdn.co/wp-content/uploads/2019/12/ECW_Dashboard-Map-3-Dec-2019.pdf (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
92) Ips (Inter Press Service), “World’s Spreading Humanitarian Crises Leave Millions of Children Without Schools or Education”, di Thalif Deen, 24 ottobre 2019, http://www.ipsnews.net/2019/10/worlds-spreading-humanitarian-crises-leave-millions-children-without-schools-education/ (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
93) Ibidem.
94) Cfr. Unicef, “1 in 3 Children”, op. cit.
95) Sipri, “World Military Expenditure Grows to $1.8 Trillion in 2018”, Comunicato stampa, 29 aprile 2019, https://www.sipri.org/media/press-release/2019/world-military-expenditure-grows-18-trillion-2018 (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
96) Mofa (Ministero degli affari esteri) del Giappone, 2016, Official Development Assistance (Oda): “Bannin no tame no shitsu no takai kyoiku: Nihon no torikumi” (Educazione di qualità per tutti: iniziative giapponesi), 9 agosto 2016, https://www.mofa.go.jp/mofaj/gaiko/oda/bunya/education/initiative.html (ultimo accesso 26 gennaio 2020).
97) Ibidem.
98) Unhcr (Agenzia dell’Onu per i rifugiati), “Costa Rican Schools Open Their Doors to Displaced Nicaraguan Children”, di Jean Pierre Mora, 5 luglio 2019, https://www.unhcr.org/news/stories/2019/7/5d1f1e364/costa-rican-schools-open-doors-displaced-nicaraguan-children.html (ultimo accesso 26 gennaio 2020).