Università Saint Kliment Ohridsky, Sofia, 21 maggio 1981
Grazie al gentile invito del governo della Bulgaria, sono finalmente qui, in questa terra. Desidero esprimere la mia gratitudine all’Università di Sofia per l’assegnazione di questa laurea ad honorem. Ringrazio il rettore Ilcho Dimitrov, tutti coloro che mi hanno dato l’opportunità di parlare oggi e i professori e studenti che hanno trovato il tempo di partecipare a questo incontro.
Prima di venire in Bulgaria, ho trascorso del tempo in Unione Sovietica, dove ho incontrato il premier Nikolai A. Tikhonov. Ho discusso con lui dell’importanza dello scambio culturale come migliore modo affinché un popolo conosca davvero il cuore di un altro. A tal scopo, l’Università Soka e l’Università statale di Mosca si sono impegnate a sviluppare un programma di scambio educativo per studenti e professori. Mentre ero nella capitale sovietica, il Coro Ginrei, formato da studenti dell’Università Soka, ha eseguito una rappresentazione presso l’Università di Mosca, nell’ambito del Festival dell’amicizia degli studenti di Giappone e Unione Sovietica. Le voci del Coro Ginrei e di quello dell’Accademia delle scienze dell’Università statale di Mosca, che si levavano all’unisono, sembravano cancellare qualsiasi differenza linguistica, culturale o di confine politico.
Sono al corrente della popolarità in Bulgaria del canto corale, che ha qui raggiunto livelli altissimi, riconosciuti in tutto il mondo. In effetti, il vostro paese è famoso come il «regno dei cori». In passato, tre cori bulgari (il Coro da camera delle voci maschili della radio e della televisione bulgare, il Coro delle voci bianche di Tolbuhin e il Coro bulgaro della Cappella Svetoslav Obretenov) hanno visitato il Giappone su iniziativa dell’Associazione concertistica Min-On, da me fondata sulla scia di un profondo desiderio. Essi hanno tenuto centodiciassette esecuzioni in tutto il Giappone, con grande successo tra il pubblico. Le canzoni popolari bulgare hanno colpito in particolar modo gli ascoltatori. Desidero molto ampliare e continuare questo tipo di iniziative che, come un arcobaleno spirituale, uniscono i cuori di popolazioni differenti.
A questo scopo ho stabilito un dialogo con due ambasciatori della Bulgaria in Giappone e con il ministro della cultura bulgaro, Lyudmila Zhivkova. Questo scambio ha fatto sì che io approfondissi la mia comprensione di questa nazione, la cui cultura non è molto conosciuta nel paese del Sol levante, come invece dovrebbe essere. Nel 1975, quando per la prima volta incontrai a Tokyo l’ambasciatore Serbesov, ricordo di avergli detto che pensavo che la Bulgaria fosse un paese giovanissimo e che l’immagine di un sole nascente fosse la più adatta a simboleggiare il suo futuro. Questa sensazione si rinforza ogni qual volta vengo a conoscenza di un nuovo progresso culturale in Bulgaria.
Sotto il Giogo di Ivan Minchov Vazov, considerato universalmente un capolavoro, è stato tradotto in trentadue lingue. Da questa lettura ho tratto maggiore coscienza dello spirito giovane del popolo bulgaro. Il libro narra della Rivolta di Aprile del 1876, quando la popolazione bulgara insorse coraggiosamente nel tentativo di liberarsi dal dominio dell’Impero ottomano. I profondi affetti umani, vividamente ritratti nell’opera, mi hanno ricordato I miserabili di Victor Hugo, uno dei libri che più ho amato in gioventù. è risaputo che Hugo fu tra gli intellettuali impegnati nella forte protesta contro la crudele repressione che il governo ottomano esercitò durante la Rivolta di Aprile. Nonostante il fallimento della sommossa, il protagonista di Vazov, Ogunyanov, afferma: «è triste, ma non è una vergogna». Questa frase è piena di orgoglio e coraggio, virtù peculiari della gioventù e che caratterizzano il cuore del popolo bulgaro. Lo stesso Vazov dice che se la rivolta dovesse essere stigmatizzata come avventata o criticata dagli storici: «Soltanto la poesia le avrebbe dimostrato perdono e l’avrebbe incoronata con l’alloro dell’eroe… in nome della passione che spinse quei gentili sarti anatolici sulle montagne di Sredna Gora. […] Fu una follia di poeti. Poiché i popoli nuovi, come i giovani, sono poeti».
Considero giovane il popolo bulgaro, ma riconosco che esso ha una propria storia e tradizioni che sono probabilmente le più antiche della civiltà slava. Nel IX e nel X secolo, durante il regno di re Simeone, il primo impero bulgaro fiorì e divenne una delle più ricche culture del mondo contemporaneo. Le vestigia del secondo impero bulgaro possono ancora essere individuate nell’antica città di Turnovo. Lungo i suoi tredici secoli di storia, questa grande tradizione mantenne la propria vitalità, come il magma di un vulcano. Purtroppo, per cinquecento anni il paese fu tenuto a freno in un periodo di oscurantismo, sotto il governo dei turchi ottomani. Si trattò di una fase dolorosa, ma lo spirito di questa terra non morì. In profondità, l’animo del popolo rimase saldo. Quando, nel XIX secolo, la Bulgaria fu testimone del proprio grande Rinascimento, fu come la spettacolare eruzione di un vulcano, rimasto a lungo in silenzio. è particolarmente significativo che, dal punto di vista geografico, storico e spirituale, la Bulgaria abbia spesso costituito un punto d’incontro tra Oriente e Occidente. Qui si sono fuse queste due tradizioni che, allo stesso tempo, si confrontavano in un conflitto. L’esperienza di quel periodo potrebbe dare alla penisola balcanica un importante ruolo nella costruzione di una nuova società, fondata sull’incontro tra Est e Ovest.
Può sembrare facile discutere dell’incontro tra la cultura orientale e quella occidentale, ma questo è un argomento vasto, che presenta aspetti diversi e complessi. Nel focalizzarne almeno uno, tratterò la natura e il ruolo della chiesa cristiana ortodossa, un’istituzione con radici profonde nella storia della Bulgaria.
Io sono buddista e la dottrina religiosa che seguo differisce molto da quella dell’ortodossia di rito orientale. A mio parere, il rigoroso monoteismo del Cristianesimo, occidentale od orientale, è un aspetto importante. La caratteristica principale del Buddismo, agli occhi dei cristiani, è quella di essere fondato sul principio della Legge (il dharma), piuttosto che su quello di un dio e, dunque, su un apparente ateismo. Per questo motivo, invece di parlare della dottrina, desidero prendere in esame il modo in cui la chiesa ortodossa bulgara aiutò a preservare lo spirito della popolazione e si impegnò a sostenerne la libertà e l’indipendenza, contributo che ritengo molto significativo.
In passato, l’ortodossia di rito orientale ha subito molte pressioni sia dall’interno sia dall’esterno. La Chiesa ricevette un duro colpo da parte di quella greco-ortodossa quando questa ripiegò di fronte all’autorità dell’impero ottomano. Un simbolo di coraggio durante quel periodo fu il lavoro di Paìsij Hilendarski, un monaco che, alla fine del XVIII secolo, fece la prima ricostruzione storica del passato della Bulgaria. Egli, definito in seguito come il «padre della cultura bulgara», e altri membri della chiesa dedicarono la propria vita a proteggere l’integrità culturale di un popolo, dominato per cinque secoli dai turchi. Le loro opere sono state ricordate durante una cerimonia per commemorare il millesimo anniversario dalla fondazione del monastero di Rila. In quella occasione, Georgi Dimitrov ha affermato che la Chiesa ortodossa bulgara dovrebbe essere onorata per la sua azione, dal grande significato storico, di aver protetto la coscienza nazionale dei bulgari e le loro vite.
La religione ha avuto un ruolo importante nel determinare il corso della storia. Mi sembra che la relazione tra Dio e gli uomini sia più stretta nella chiesa ortodossa di rito orientale che nel cattolicesimo romano, per esempio. Quando Dio è vicino agli esseri umani, non sono necessari molti intermediari. Certo, nel caso di una religione che postuli l’esistenza di una sola divinità, vi sarà sempre un chiara distinzione tra l’essere supremo e l’uomo, ma la gerarchia ecclesiastica cattolica aumenta la distanza tra questo Dio e ciascun credente. In quanto simbolo dell’autorità della chiesa, anche il papa è separato dalle persone comuni per il suo stesso status. So che gli intermediari ecclesiastici sono in numero inferiore nella chiesa ortodossa di rito orientale.
Quando si crea una distanza tra Dio e gli esseri umani, emerge una separazione tra il clero e i laici e anche tra il potere divino e quello secolare. La maggior parte della storia del Medioevo e dell’era moderna nell’Europa occidentale è costellata da una successione di conflitti tra le autorità religiose e quelle secolari. A tutt’oggi, persiste un senso di divisione tra politica e religione.
Jean Jacques Rousseau, considerato una sorta di eretico dalla società del suo tempo, una volta scrisse: «[…] Comunque, poiché i principi e le leggi civili sono sempre esistiti, la conseguenza di questo potere dualista è stata quella di un conflitto senza fine della giurisdizione, che ha reso impossibile qualsiasi tipo di buona politica negli stati cristiani, in cui gli uomini non hanno mai saputo se obbedire al sovrano o al prete. […]» (2)
A dispetto delle stesse radici cristiane, il mondo dell’ortodossia di rito orientale ebbe uno sviluppo diverso da quello del cattolicesimo romano. Tenendo bene in mente questo, desidero esaminare alcune interpretazioni della teoria del diritto divino dei re. Quando l’autorità secolare si appropriò di quella religiosa per soggiogarla, ne sortì un effetto negativo per l’uso improprio della religione da parte della gerarchia politica. Arnold J. Toynbee definì questa pratica come «l’idolizzazione di un’istituzione» e suggerì che ivi si celasse la ragione principale della breve durata dell’Impero bizantino. In senso più ampio, all’idea del diritto divino si può attribuire la creazione di un legame tra politica e religione che può essere costruttivo.
Nel mondo cattolico, la scelta è sempre oscillata tra «politica per il bene della religione» e «religione per il bene della politica». Credo fermamente che ambedue, politica e religione, dovrebbero impegnarsi in direzione di un comune scopo: null’altro che non sia il benessere dell’umanità. Non c’è bisogno di aggiungere che entrambi questi ambiti possono adempiere al meglio ai loro ruoli originari solo quando mantengano la loro dedizione al bene collettivo, piuttosto che ai loro interessi. La realizzazione di ciò sembra possibile laddove vi sia uno sforzo continuo per colmare la distanza tra Dio e gli esseri umani, tra clero e laici e tra il potere secolare e quello divino, come avviene nell’ortodossia di rito orientale.
In passato tale risultato non è stato raggiunto e le chiese greco e russo-ortodosse hanno accettato degli sfortunati compromessi, come nel caso della loro collaborazione, a livelli diversi, con i dettami dei governanti ottomani. Secondo il mio punto di vista, proprio perché l’ortodossia di rito orientale è stata messa a dura prova per lungo tempo in Bulgaria, se sussiste una possibilità perché la forza della religione fiorisca, essa esiste qui, in questo paese.
Vorrei tracciare un parallelo con la visione della religione di Lev Tolstoj. Come già saprete, egli fu scomunicato con l’accusa di eresia dalla chiesa russo-ortodossa. Verso la fine della sua vita lo scrittore affermò che «il paese di Dio è dentro te stesso» e che «Dio può essere percepito solo dentro di noi. A meno che non scopriate Dio dentro voi stessi, non lo potrete vedere in nessun luogo». Nella prospettiva del grande autore, Dio e gli esseri umani difficilmente possono essere separati. Quanto le parole nella poesia Una preghiera, di Khristo Botev, ci ricordano Tolstoj!
Oh mio Dio, tu, signore di giustizia,
non quello lontano nei Cieli,
ma tu, Dio, che abiti dentro me,
nel mio cuore e in ciò che faccio.
è meno strano di quanto possa sembrare il fatto di mettere in rapporto Botev, un poeta rivoluzionario che abbracciò le armi e morì giovane, con Tolstoj, anziano letterato che si condannò al martirio per la sua filosofia fondata sull’amore e che implorava di «non protestare contro il male». Le parole di entrambi questi scrittori sono le grida di anime radicate nel terreno della tradizione slava e di quella balcanica. Sebbene differisca nella forma, l’amore umanitario, espresso da questi due autori, non si oppone in alcun modo all’ideale di umanesimo socialista a cui il vostro paese dà molto valore. Questo è un tipo di sentimento di cui si può trovare un’eco nella concezione buddista dell’essere umano per cui la Buddità è presente nella vita di ciascun individuo. In questo senso, è inutile discutere sul Dio lodato da Tolstoj o da Botev in termini di dottrina religiosa. Il punto che essi cercavano di raggiungere, a rischio della propria vita, era che tutto, inclusa la religione, esiste «per l’essere umano». Entrambi insistettero sul fatto che, se si dimentica questo concetto, qualsiasi dottrina o ideologia scivola lungo i pendii che conducono alla decadenza morale.
In riferimento alla Rivolta di Aprile del 1876, Ivan Vazov disse: «lo spirito nazionale della Bulgaria non è mai stato così elevato né, probabilmente, lo sarà mai più». Credo che tale spirito raggiunse il suo apice durante la Rivolta di Aprile perché alimentato dalla spinta a proteggere la dignità degli esseri umani a ogni costo.
Il futuro dello spirito nazionale bulgaro dipende dalla saggezza dei cittadini. Finché il vessillo dell’umanità sventolerà con orgoglio sulla Bulgaria, saranno superate le barriere tra le nazioni e si aprirà una via verso una società umanistica globale, nel XXI secolo. Ritengo che questa società si trasformerà in un campo fecondo, in cui l’incontro tra oriente e occidente porterà germogli di pace e di cultura a completa fioritura.
So che il leone è il simbolo della Bulgaria. Questo animale ha un profondo significato nel Buddismo. Nell’antica India il re Ashoka, il cui governo pacifico era fondato sullo spirito del Buddismo, costruì una colonna che in alto aveva scolpiti quattro leoni che guardavano su Sarnath, vicino Benares. Lì era il luogo in cui il Budda Shakyamuni aveva esposto la Legge per la prima volta, per la felicità di tutte le persone. Così, i leoni sopra quella colonna rappresentavano la voce di Shakyamuni. Come il ruggito di un leone, i suoi insegnamenti risuonarono con forza sulle altre voci e colpirono il cuore delle persone. Nichiren Daishonin possedeva questo stesso spirito e i suoi insegnamenti divennero un sistema di pensiero buddista. Nei miei viaggi in tutto il mondo, in quanto credente nei suoi insegnamenti, non smetto mai di alimentare la speranza che la sua voce sia ascoltata. Desidero concludere con la preghiera che la Bulgaria tenga sempre alto il vessillo della libertà umana, della pace e della dignità, coraggiosa e imperterrita, come il re leone.
NOTE
(1) Ivan Vazov, Under the Yoke, trad. Marguerite Alexieva e Theodora Atanassova, a cura di Marco Mincoff, Sofia, Foreign Languae Press, 1960, pag. 438.
(2) Jean Jacques Rousseau, Il Contratto Sociale, I Classici, Universale Economica Feltrinelli.
(3) Lev Tolstoj, Jinsei no michi, trad. Kyuichiro Haa, Tokyo, Iwanami Shoten, Ltd., 1939, pag. 179.
(4) Ibidem, pag. 37.
(5) Khristo Botev, A Prayer, The History of Modern Bulgarian Literature, trad. Clarence A. Manning & Roman Smal-Stocki, New York, Bookman Associates, 1960, pag. 176.
(6) Vazov, op. cit., pag. 343.