Università M. V. Lomonosov, Mosca, 17 maggio 1994
Diciannove anni fa, in occasione della mia prima visita, tenni un discorso al Palazzo della cultura, presso l’Università statale di Mosca. Per me è un piacere avere un’altra occasione, poiché nulla mi rende più felice che incontrare degli studenti e condividere le mie riflessioni con loro. Esprimo la mia sincera gratitudine al rettore Viktor Sadovnichy e a ciascun membro dell’università che ha contribuito a far sì che questo evento fosse possibile.
Nel gennaio del 1994 gli studenti di questo ateneo ebbero la parola in uno scambio informale tra il presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, e i cittadini di Mosca. L’incontro fu trasmesso in televisione in Giappone e, forse, anche in altri paesi. In un intervento in perfetto inglese, una studentessa affermò di intravedere delle grandi riserve di energia spirituale in Russia. La giovane espresse la sua fiducia che questa nazione diventasse un centro culturale d’importanza internazionale nel prossimo futuro. Questo fu un solenne voto di fiducia nella grandezza del suo paese.
Il fondatore dell’Università di Mosca, Mikhail Lomonosov compose questi nobili versi poco prima della sua morte:
Quando la bellezza e i luoghi della nostra terra
saranno colpiti dalla sfortuna,
quello sarà il tempo in cui
la Russia dovrà generare
giovani coraggiosi e brillanti, mia progenie
che seguirà le orme del cammino che ho tracciato. (1)
Duecentoquaranta anni sono passati da quando fu fondata la vostra università. In tutto questo tempo, gli studenti e la facoltà hanno fatto del loro meglio per tener fede alle parole del fondatore. I membri della presente comunità universitaria possono essere orgogliosi della propria storia. Credo fermamente che, ovunque, i giovani, come gli studenti di questa eccellente università, sono la speranza per il futuro dei loro paesi e del mondo. In una scrittura buddista si legge che, se si desidera conoscere gli effetti che si manifesteranno in futuro, è necessario guardare le cause poste nel presente. (2)
Nel 1974, mentre mi preparavo al mio primo viaggio nel vostro paese, molte persone in Giappone misero in questione la mia decisione. «Perché un educatore buddista fa un viaggio in una nazione la cui ideologia rifiuta ogni tipo di religione?» mi fu chiesto. La mia risposta fu che desideravo andare «perché là c’erano delle persone». Due decenni dopo, in un mondo nuovo, postideologico, si rivela ancora più importante rimanere concentrati sull’essere umano e sul corretto modo di vivere. Come scrisse il grande contemporaneo russo, lo scrittore Aleksandr Solzhenitsyn: «La struttura dello stato è secondaria rispetto allo spirito delle relazioni umane. Con l’integrità dell’uomo, qualsiasi sistema onesto sarà accettabile, ma con il rancore e l’egoismo persino la più radicale delle democrazie diventerà insopportabile. Se le persone stesse mancano di onestà, questo emergerà alla superficie in qualsiasi tipo di sistema». (3)
Gli esseri umani sono le fondamenta e lo scopo ultimo del nostro interesse. Tuttavia, come riconobbe Tolstoj, essi restano il maggiore di tutti i misteri. Da tempo immemorabile, la questione di ciò che significa essere «umano» ha impegnato il pensiero filosofico. Tuttavia, persino dopo millenni di speculazione, la risposta ci sfugge. Sappiamo, per esempio, che la felicità umana non può essere misurata solo in termini scientifici o economici. Molti di noi hanno compreso che la grande eredità spirituale del passato non è utilizzata nella società presente nel modo in cui sarebbe opportuno. Ormai giunti alla fine del XX secolo, sembriamo come avvolti in una densa e scura foschia, tanto che qualsiasi luce, capace di illuminare la condizione umana, deve venire da una fonte davvero splendente.
«Sii coerente con te stesso!» era l’esortazione del mio mentore Josei Toda, secondo presidente della Soka Gakkai. Egli sopravvisse a due anni di prigione durante l’ultima guerra mondiale e ne uscì imperturbato grazie alla sua decisione di dedicarsi alla pace. Dopo la sconfitta del Giappone, i valori fino ad allora accettati sembravano essere stati spazzati via o capovolti. In quel periodo di desolazione spirituale, Toda insegnò che le persone avrebbero dovuto iniziare ex novo e, così, intraprendere la loro rivoluzione umana interiore. Questo suo messaggio dava nuova vita all’osservazione di Shakyamuni per cui noi siamo i padroni di noi stessi, come nessun altro potrà esserlo mai. Se ci impegniamo in questo, otterremo quella padronanza di noi stessi che può essere definita «rivoluzione umana».
Dmitry S. Merezhkovskj, uno scrittore russo di talento, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, fece un’analoga affermazione quando disse: «Dio ha ordinato all’uomo di essere padrone di se stesso». (4) Queste parole sono ripetute tre volte all’inizio del suo libro Peter and Alexis: the Romance of Peter the Great (Pietro e Alessandro: il romanzo di Pietro il Grande). La questione di come si possa diventare padroni di se stessi scorre lungo la storia spirituale della nazione russa, nell’epoca premoderna più che in qualsiasi altro periodo della storia.
L’interesse per il dominio di sé è un tema ricorrente nella vita di Pietro il Grande. è stato impossibile per gli storici raggiungere un parere unanime sulla vita di quest’uomo dalla personalità dominante. Da una parte, la sua apertura alle idee e alla tecnologia occidentale ebbe come effetto la modernizzazione e lo sviluppo della Russia. Dall’altra, le sue riforme crearono molte difficoltà per il popolo, in modo particolare perché esso subì delle brutali imposizioni da parte del regime autoritario. Per questo motivo, alcuni storici vedono lo zar come un diavolo, mentre altri lo considerano quasi come un santo. Una cosa è chiara, comunque, Pietro il Grande fu un gigante che dedicò la propria vita alla ricerca di una risposta sull’ampia questione della padronanza di sé.
Aleksandr Pushkin salutò Pietro come il governante del destino mentre Aleksandr Herzen, storico del XIX secolo, lo descrisse come il primo individuo «liberato» nella storia russa. Come Atlante, che sosteneva il mondo, Pietro portò il proprio destino su una spalla e il destino della Russia sull’altra. Da quel periodo in poi, il suo paese ha cercato di venire a patti con l’influenza pervasiva della civiltà occidentale moderna. La Russia non è la sola nazione che ha dovuto lottare con la complessità dell’influenza occidentale sulla propria società. Di solito quest’ultima si fa sentire nel campo economico e militare e a volte determina una trasformazione in blocco della tecnologia bellica. Quindi, la cultura stessa potrebbe esserne influenzata fino a minacciarne l’identità più profonda e il senso di sé della popolazione.
Tale preoccupazione appare spesso nei lavori di Natsume Soseki, uno tra i più amati scrittori del Giappone moderno. Egli tentò di definire un’identità giapponese durante la confusione culturale del cambiamento totale, avvenuto dopo che il Giappone aprì le porte all’occidentalizzazione. Nel ricordare il proprio senso di impotenza, quando ancora giovane osservava il caos che lo circondava, egli scrisse: «Mi sento come se fossi stato legato in un sacco mi fosse impossibile scappare». (5)
Sebbene il Giappone abbia subito un drastico mutamento dai tempi in cui Soseki scrisse queste parole, dubito che la gioventù giapponese di oggi sia veramente felice o soddisfatta dello status quo. è un errore equiparare la felicità alla ricchezza; la gioia che il successo materiale reca è sempre impermanente. Molti giovani nipponici sono alienati e senza ambizioni. Certo, essi sono liberi più che mai, ma spesso mancano di motivazione e molti sono confusi e insicuri. Alcuni vivono solo per la gratificazione momentanea e immediata. Recenti indagini su studenti della scuola superiore in tutto il mondo indicano che, rispetto a quelli degli altri paesi, gli studenti giapponesi tendono a perdere fiducia nel futuro e a essere soddisfatti della propria situazione purché essa sia rassicurante. Sembra che, nonostante il paese del Sol Levante stia godendo – almeno al momento – di una prosperità economica senza precedenti, la sua vita spirituale sia diventata stagnante. I giovani non cercano più di essere padroni del proprio destino.
Alcuni individui, certo, sono attivi e guardano al di là dei propri interessi con senso di missione e prospettive chiare per la loro società. Ci sono giovani dediti alla pace nel mondo e altri impegnati in questioni essenziali per il miglioramento della qualità della vita. Questi giovani, che differiscono molto dai loro coetanei apatici, mi fanno sperare nella comparsa di una nuova filosofia che conduca l’umanità nella direzione del bene, della positività e della creatività. Allora, come possiamo diventare padroni di noi stessi? Nella ricerca di una risposta a questa domanda, il pensiero del grande filosofo Nikolai Berdyayev può farci da guida: «Non ho mai cercato, volontariamente o involontariamente, di chiudermi in un mondo privato tutto mio; piuttosto, ho desiderato trovare una strada all’esterno, per essere presente nel mondo e far sì che il mondo fosse presente dentro me, ma presente a mio rischio e pericolo, e liberamente. L’uomo nasce come microcosmo e la sua vocazione è ricreare l’universo dentro di sé». (6)
Berdyayev descrive la soddisfazione palpabile provata nel raggiungimento del dominio di sé. Questa idea e l’evocazione di uno stato di espansione infinita, tanto da essere tutt’uno con l’universo, ha molto in comune con concetti del Buddismo Mahayana. Quest’ultimo presuppone l’esistenza di tre stadi di trasformazione nella vita di un individuo e nello sviluppo del suo carattere. Essi sono il «risveglio», l’essere «perfettamente dotato» e la «rivitalizzazione». Desidero parlarne poiché riguardano i concetti di ordine fondamentale, universalità e autorinnovamento. Vorrei anche discutere sulla corrente dell’umanesimo russo che sta progredendo sempre più.
Il primo stadio, il risveglio, si riferisce allo sviluppo di una consapevolezza dell’ordine fondamentale della vita. Il Buddismo insegna che ognuno di noi possiede la natura di Budda, cioè i semi o il potenziale per diventare un essere umano ideale. Nella sua essenza, questa natura è adamantina e indistruttibile, pura e incontaminata. Quando emerge, diventa il centro vitale e determina la nostra felicità poiché ci rende capaci di essere padroni di noi stessi. Tuttavia, nella vita quotidiana la natura di Budda è sepolta in profondità, sotto le illusioni e i modi di pensare sbagliati, pregiudizievoli e falsi. Al fine di permetterle di farsi strada e fiorire appieno si deve allontanare questo spesso strato illusorio. Se riusciamo a fare ciò, ci risveglieremo all’ordine fondamentale inerente a ciascuno di noi.
Il più elevato insegnamento del Buddismo Mahayana, il Sutra del Loto, contiene una serie di parabole dirette a coloro che erroneamente credono che il Budda sia una specie di essere mitico e non pensano di possedere la natura di Budda. Una di queste parabole racconta la storia di un uomo povero che, una volta, ricevette la visita di un amico ricco. Dopo aver conversato e gioito dell’incontro, il povero si congedò e andò a dormire. L’amico, preoccupato per il suo benessere, di nascosto cucì un prezioso gioiello nella fodera del suo vestito. Quando il povero si risvegliò la mattina seguente e salutò l’ospite, non immaginava che nel suo vestito si celasse un gioiello. La sua esistenza continuò nell’indigenza. Parecchi anni più tardi, l’uomo ricco ebbe occasione di incontrare nuovamente l’amico e si meravigliò nel vedere come egli vivesse ancora in serie difficoltà. Quando gli disse del gioiello, cucito nel vestito, il povero gioì. Il gioiello è la natura di Budda o Buddità che tutti noi, più o meno consapevoli, possediamo. Esso rappresenta l’ordine fondamentale dell’esistenza umana, un fulcro solido come quello a cui si riferiva il matematico greco Archimede quando affermava: «Datemi una leva e solleverò il mondo». Nel momento in cui si riconosce questo ordine fondamentale all’esistenza, si acquisisce una forza senza pari.
Il romanzo Anna Karenina è un capolavoro di Lev Tolstoj, uno degli autori che più amo. Levin, che parla per l’autore, è alla ricerca del significato della vita, della natura essenziale dell’esistenza. In una scena famosa, egli è illuminato dalle parole di un contadino: «Un uomo vive per le proprie necessità e null’altro – prendi Mityuka, che pensa solo a riempire la sua pancia – invece Fokanich è un uomo anziano retto. Egli pensa alla sua anima. Non si dimentica di Dio.» (7)
Queste parole, pronunciate da una persona semplice, colpiscono il cuore di Levin come un lampo. In questa scena Tolstoj ha creato una delle descrizioni più commoventi e memorabili nella letteratura mondiale del risveglio della mente di una persona grazie a un altro individuo. è proprio vero che, quando ci si risveglia all’ordine fondamentale dell’universo, qui descritto con il «pensare all’anima», un mondo nuovo e inaspettato si rivela in tutta la sua forza e il suo splendore.
Tolstoj scrive spesso del dramma della conversione dall’oscurità alla luce e dall’illusione alla consapevolezza. Tale dramma è solo accennato nei suoi primi lavori, come I Cosacchi (1863), ma è sviluppato in pieno nelle riflessioni di Pierre in Guerra e Pace, e in quelle di Levin. Le descrizioni così vivaci e commoventi di questa profonda emozione umana, che all’improvviso si fa strada nei protagonisti di Tolstoj, fanno eco nei cuori dei giovani di tutto il mondo.
Tolstoj aveva familiarità con gli insegnamenti del Buddismo e la forza vitale che egli ritrae nei suoi scritti ha molto in comune con la visione dinamica dell’esistenza, descritta nel Sutra del Loto. Entrambe sono un inno alla vita. Dopo tutto, siamo «canne pensanti», come scrisse Blaise Pascal. La prova della nostra umanità risiede nella costruzione di una salda visione della vita, della società e dell’universo. La felicità si realizza quando stabiliamo i nostri scopi e ci impegniamo per raggiungerli al meglio delle nostre capacità. In questo modo vivremo senza alcun rimpianto.
Questo principio buddista afferma che l’ordine fondamentale cui ci risvegliamo non è né parziale né incompleto, bensì onnicomprensivo e abbraccia in ugual modo sia tutti gli esseri umani sia la natura e l’intero cosmo. Esso si riferisce all’universalità e all’armonia inerente alla vita, a un livello differente da quello della scienza o della ragione. Queste ultime riguardano nozioni astratte, indipendenti, impersonali e strutturate. Nel loro campo esse esercitano un immenso potere, trasformando a sorprendente velocità il modo in cui viviamo. Pur tuttavia, dopo avere vissuto le tragedie di «megamorte» del XX secolo, non possiamo più riporre fiducia negli usi incontrollati della scienza e della ragione.
Secondo il pensiero buddista, l’universalità è un ordine simbiotico in cui coesistono umanità, natura e cosmo, e il microcosmo e il macrocosmo sono fusi in una singola entità vivente. Nel Buddismo, l’idea di simbiosi è trasmessa dal termine «origine dipendente» (engi, in giapponese). Sia nella società umana sia nel regno della natura, nulla esiste in isolamento; tutti i fenomeni dipendono e sono in rapporto fra loro e, in tal modo, creano un universo vivente. Una volta compreso ciò, si può stabilire il giusto ruolo della ragione.
Vista da questa prospettiva, la sensibilità di Levin è singolare. Disteso sull’erba, mentre guarda il cielo limpido, Levin pensa fra sé: «Ma io non so forse che lo spazio è infinito e non una volta curva? Comunque, più mi stropiccio gli occhi e sforzo la vista, meno riesco a vederlo, tranne che come rotondo e circoscritto, nonostante io sappia dello spazio infinito. Ho incontestabilmente ragione quando vedo una volta blu, molto più di quando sforzo gli occhi per vedere oltre essa.» (8)
Levin non sta tornando all’astronomia antica. Egli dà voce a una fine e lungimirante critica della modernità; non percepisce l’universo come un regno desolato, dominato dal razionalismo puro. Per il protagonista, in esso vibra la vita, con tutto il calore della gioia e della consolazione, dell’amore e della devozione, della compassione e della solidarietà.
L’accento posto da Tolstoj sull’universalità è di particolare rilievo per le questioni che la razza umana sta oggi affrontando. Esso rappresenta una sfida alla grettezza della coscienza etnica estremista, una delle maggiori cause di conflitto tra le nazioni e al loro interno. Levin getta acqua fredda sulla passione etnica autodistruttiva che fece sembrare eroica la Guerra serbo-turca: «Tuttavia non si tratta soltanto di sacrificarsi, ma di uccidere i turchi. Le persone si sacrificano e sono sempre pronte a farlo per il bene della propria anima, ma non per uccidere.» (9)
Senza uno spirito universale come quello di Tolstoj, non riusciremo mai a vedere l’alba di una nuova epoca di umanesimo e globalità. Lo «spirito russo» di cui parlò Dostoyevskj partecipa di questa universalità. Entrambi i due scrittori sono sensibili agli scopi umanistici ed entrambi riflettono la convinzione che tutte le persone possano e debbano vivere in armonia. Il perseguimento dell’autentica felicità è vano, a meno che non avvenga con questo spirito. Credo che la vita possa rivelarsi davvero soddisfacente solo se ci si impegna in modo disinteressato a beneficio degli altri. Allo stesso tempo, la pace interiore può essere raggiunta ampliando la propria consapevolezza e liberando «il piccolo sé» dalle catene dell’egoismo per risvegliare il «grande sé» che deve essere tutt’uno con la vita dell’intero universo.
Il concetto di «rivitalizzazione» si riferisce alla necessità di coltivare il dinamismo creativo della vita, che permette di rinascere ogni giorno e di evitare ogni staticità e rigidità. Tutto è cambiamento, come affermava Eraclito, filosofo dell’antica Grecia. Anche il Buddismo insegna che nulla rimane nello stesso stato, neanche per un solo istante. La pietra più dura alla fine si sgretolerà in polvere; ogni cosa in fin dei conti sarà distrutta. La società umana, in particolare, è in costante cambiamento. Il segreto della rivitalizzazione è la rottura del guscio di indolenza in cui cerchiamo di ripararci nel nostro presente e porsi in ascolto del ritmo di cambiamento che pulsa dentro di noi.
La filosofia buddista di Nichiren insegna che «si ripete il ciclo eterno di nascita e morte sulla grande terra dello stato di Buddità». (10) Questa affermazione significa che il potere di rivitalizzarsi per tutta l’eternità risiede dentro di noi. Una rivitalizzzione di questo tipo si può anche definire «autorinnovamento».
L’autorinnovamento è secondo Nichiren essenziale per la fede religiosa. Senza di esso si diventa suscettibili al dogma. Levin riflette sulla manifestazione del divino che sente dentro di sé. Egli lo percepisce come una felicità suprema e si chiede: «La felicità è limitata ai cristiani? E per quanto riguarda i seguaci di altre religioni come gli ebrei, i maomettani, i confuciani, i buddisti?» (11)
La domanda di Levin non deve essere elusa, altrimenti la religione scivola nel fanatismo. I dubbi di questo tipo sono espressione di un potere interiore che ricrea il sé, giorno dopo giorno, attraverso il processo di riflessione su se stessi. Essi sono fonte di umiltà e generosità di spirito e fulcro del comportamento etico, fin dai tempi antichi. Quando la religione ignora questo tipo di processo rischia di diventare tirannica e arrogante; troppo spesso essa diventa un pretesto perché gli esseri umani si facciano male gli uni con gli altri.
L’ordine fondamentale dell’universo fornisce la base su cui una persona può costruire la sua vita. Esso promuove fiducia e serenità. Ma la prospettiva di cui si fa portatore deve essere mantenuta solida tramite quel tipo di costante introspezione dimostrata da Levin, affinché essa perduri come forza stimolante e creativa. Da un altro punto di vista, una percezione dell’ordine universale che non generi valori etici come umiltà e generosità, deve essere riconosciuta come falsa e fallace. Una personalità superiore può essere costruita solo nel momento in cui la consapevolezza dell’ordine fondamentale va di pari passo con un processo di autorinnovamento. Per questa ragione, più siete solidi e più sarete umili; più siete sicuri delle vostre convinzioni e più sarete generosi.
La vera missione della religione è promuovere la crescita della personalità e incoraggiare la ricerca della padronanza di sé. Ecco perché le scritture buddiste danno particolare importanza alla riflessione su se stessi e ci stimolano a permettere alla nostra coscienza più profonda di motivarci. In effetti, lo scopo principale della vita di Shakyamuni è stato quello di curare e perfezionare il nobile aspetto dell’interiorità. E a questo dedicò la propria pratica.
Man mano che si continuerà a lottare per l’unità globale, lo scambio a livello culturale ed educativo che trascenda i confini della religione, della razza e della nazionalità, diventerà sempre più importante. Poiché la competizione, nel suo significato costruttivo, stimola il progresso, credo che il miglior modo per raggiungere l’unità mondiale e la pace sia che le nazioni gareggino in attività mirate allo sviluppo del carattere dei loro cittadini. Invece di competere per acquisire maggiore forza bellica, per esempio, i paesi dovrebbero «rivaleggiare» nella produzione di veri «cittadini globali».
Il fondatore e primo presidente della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, si scagliò contro il militarismo giapponese e morì in prigione all’età di settantatré anni. Già all’inizio del secolo, egli ribadì che la razza umana non si poteva più permettere di essere coinvolta in un confronto militare, politico o economico, ma che avrebbe dovuto cercare di alimentare un clima in cui le società facessero a gara su un piano umanistico. Spero che gli studenti dell’Università statale di Mosca diventino dei precursori in questo tipo competizione.
Nel mio discorso ho accennato alla saggezza buddista e alle opere di Tolstoj nel delineare il modo in cui possiamo cercare di raggiungere il dominio di noi stessi. Tocca a noi trasformare il caos in armonia nel secolo a venire e la religione, la filosofia, la cultura e il governo si devono tutti concentrare su questo obiettivo. Spero che coloro che nutrono una simile convinzione si uniranno a me in questo nostro viaggio lungo la strada della rivitalizzazione.
Desidero terminare con una bella poesia che appartiene alla vostra patria, la Russia, terra della poesia:
Sotto il cielo infinito, sii coraggioso.
Nella gioia, risvegliati alla tua missione.
Guarda! I raggi del sole
un istante tingono d’oro il cielo,
subito dopo si nascondono dietro ciuffi di nuvole.
L’argentea luna risveglia la bellezza dei germogli
nei prati di primavera.
I boccioli di rosa crescono.
Un ruscello scorre puro lungo la valle.
La vite risplende sulla collina
e il biondo grano fluttua nei campi.
Nella quiete, il sospiro del vento…
Tutto questo ti appartiene.
Con gioia, cogli il fiore della vita.
Con serenità, accetta le benedizioni del cielo.
Questo nostro mondo non è
una valle di miseria.
Amico mio! Sii felice! vNon ti perdere sul cammino. vNon dimenticare mai la fonte dei piaceri quotidiani.
Rispetta Verità e Legge.
Fai del bene agli altri.
Allora, senza alcun timore, lascerai dietro di te
ogni volubilità.
Sarà allora, nell’oscurità,
che ti affiderai all’alba. (12)
Questi versi, attribuiti a Pushkin, ci assicurano che più è buia la notte, più vicina è l’alba. Fino a quando ci sarà speranza, la felicità risplenderà. Insieme a tutti voi, con fiducia e speranza, attendo l’alba di una nuova civiltà.
NOTE
(1) M. T. Belyavskii, In Commemoration of the 275th Anniversary of the Birth of M.V. Lomonosov, Mosca, Università di Stato di Mosca, 1986, pag. 109.
(2) Si riferisce al sutra Shinjikan, citato negli Scritti di Nichiren Daishonin, vol. 2 pag. 192.
(3) Aleksandr Solzhenitsyn, Rebuilding Russia: Reflections and Tentative Proposals, New York, Farrar, Strauss and Giroux, 1991, pag. 49.
(4) Dmitry S. Merezhkowsky, Peter and Alexis: The Romance of Peter the Great, New York e Londra, G.P. Putnam and Sons, 1905, pag. 11.
(5) Natsume Soseki, Kokoro: A Novel and Selected Essays, New York, The Pacific Basin Institute,1992, pag. 294.
(6) Nikolaj Berdyayev, Dream and Reality: An Essay in Autobiography, trad. Kathar ine Lampert, New York Collier Books, 1962, pag. 296.
(7) Lev Tolstoj, Anna Karenina, Londra, Penguin Books, 1978, pag. 829.
(8) Ibidem, pag. 835.
(9) Ibidem, pag. 844.
(10) Nichiren Daishonin Gosho Zenshu, Tokyo, Soka Gakkai, 1952, pag. 724.
(11) Tolstoj, op. cit., pag. 851.
(12) The Complete Works of Pushkin in Russian, Leningrado, Nauka Publishing Company, 1977, vol. 1, pag. 389.